Roberto Romagnoli, Il Messaggero 3/10/2014, 3 ottobre 2014
LA TURCHIA ENTRA IN GUERRA CONTRO L’ISIS
IL CONFLITTO
Dopo essere stata accusata di aver consentito il passaggio attraverso la frontiera con la Siria a jihadisti e armamenti a loro destinati con la speranza di un rovesciamento del regime siriano, la Turchia ora entra in guerra contro lo Stato Islamico. Con 298 voti a favore e 98 contrari, il Parlamento ha dato ieri il via libera al governo. Diecimila soldati turchi e decine di carri armati sono già pronti, schierati lungo il confine con la Siria. La mozione ha la durata di un anno e consente al governo «in caso di necessità» di inviare truppe in Iraq e Siria e mette a disposizione degli alleati le basi in territorio turco. Tra i piani di Ankara c’è anche la creazione di una zona “cuscinetto” e di una zona di non sorvolo.
IL NEMICO ASSAD
Ma la svolta di Ankara non ha la sola chiave di lettura di un rafforzamento del fronte anti Isis. Alla vigilia del voto parlamentare, il presidente Erdogan ha detto chiaramente che per la Turchia c’è il nemico terrorismo ma anche i nemici Bashar al Assad, presidente siriano, e il Pkk curdo di Ocalan.
La priorità, al momento, dovrebbe essere però quella di fermare l’avanzata dei jihadisti che stanno per mettere le mani sulla città curdo-siriana di Kobane, a un tiro di schioppo dal confine turco. Dopo 17 giorni di assedio, le bandiere nere dello Stato Islamico sono ormai chiaramente visibili a occhio nudo dalle milizie di autodifesa curde che, così male equipaggiate, poco potranno fare in caso di un assalto finale: dalla città è fuggita quasi tutta la popolazione civile: un esodo che ha interessato anche decine di villaggi intorno e ha spinto alla fuga in Turchia oltre 150mila persone. Finora l’assalto di Kobane ha provocato centinaia di morti sui due fronti. La maggior parte dei soldati del califfo sono morti a causa dei raid aerei condotti dalla coalizione a guida Usa ma questo non sembra aver indebolito più di tanto il potenziale offensivo dell’Isis: nei giorni scorsi i peshmerga curdi hanno manifestato grande scetticismo per come siano stati condotti i raid soprattutto all’inizio di questa settimana quando da Raqqa i jihadisti sono riusciti a far convogliare verso Kobane una grande quantità di tank, pick-up armati, uomini e munizioni. Per non parlare di quanto fatto a metà settembre dall’aviazione irachena che avrebbe paracadutato per errore viveri e acqua ai jihadisti. Dell’inefficacia dei raid aerei è convinto anche il presidente Erdogan: «Tonnellate di bombe sganciate dagli aerei rinvieranno unicamente la minaccia e il pericolo».
LA DIFESA DI KOBANE
Per i curdi della Siria, la difesa di Kobane ha un doppio significato: non solo fermare l’avanzata dell’Isis ma anche difendere la possibilità di creare un territorio omogeneo nel Nord della Siria dove magari realizzare un territorio di fatto indipendente come quello di cui dispongono i fratelli curdi in Iraq dal 1991. Anche per questo ieri dal carcere, l’ergastolano Abdullah Ocalan, il leader del Pkk che nei giorni scorsi aveva rivolto un appello a tutti i curdi di accorrere a Kobane per difenderla, ha lanciato un monito al governo turco: «L’assedio di Kobane non è un assedio qualunque, ma un tentativo di massacro e, se riuscirà, segnerà la fine del processo» di pace turco-curdo.
Se gran parte dell’attenzione in queste ore è concentrata su Kobane e su un probabile primo intervento dell’esercito turco in territorio siriano, non bisogna dimenticare che i focolai di guerra sono tanti. Ieri in Iraq, oltre 40 soldati sono stati uccisi durante un’offensiva dello Stato islamico nel distretto di Hit, 150 chilometri a Ovest di Bagdad. Combattimenti sono avvenuti anche nella provincia di Salahuddin, a nord di Bagdad. In entrambi i casi i caccia della coalizione internazionale sono intervenuti riuscendo a mattere un freno all’avanzata jihadista. Ma, soprattutto a Nord di Bagdad, lo Stato islamico non molla la presa. La capitale irachena dista solo una cinquantina di chilometri dalla prima linea del fronte del califfato.