Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore 3/10/2014, 3 ottobre 2014
MOSCA SI PREPARA AL PEGGIO E STUDIA PIANI D’EMERGENZA
Fidarsi ciecamente dei toni rassicuranti usati da Elvira Nabiullina, governatore della Banca centrale Russa, richiede una massiccia dose di ottimismo. «Non ci sarà alcun tipo di restrizione (ai movimenti di capitale), nemmeno nello "stress scenario"» ha chiarito ieri il governatore. Lo scenario a cui si riferiva è quello di un ipotetico tracollo dei prezzi del greggio a 60 dollari al barile, vale a dire quasi la metà del valore di quattro mesi fa. Un’ipotesi che il Cremlino sta ora prendendo in considerazione - e questa è già una notizia - cercando di elaborare politiche di emergenza a supporto dell’economia. Quali siano nel dettaglio non è ancora chiaro.
Quando le quotazioni del greggio accusano una decisa e duratura caduta le economie dei paesi petro-dipendenti traballano. Questa volta, tuttavia, la Russia rischia di essere la vittima più illustre. D’altronde non era prudente per una potenza con un Pil da 2mila miliardi di dollari affidarsi a un budget che dipendesse per metà del suo valore dall’export di petrolio e gas. Soprattutto in un periodo come questo, con l’economia messa a dura prova da sanzioni internazionali sempre più aggressive a causa della crisi in Ucraina.
Quella russa è una scomoda esposizione energetica, quindi pericolosa perché rende il Cremlino dipendente dalle oscillazioni e dalla volubilità dei mercati. Il processo di diversificazione dell’economia è stato tutt’altro che brillante. Petrolio e gas rappresentano oggi più di due terzi del totale delle esportazioni in valore. Già nel 2012 un rapporto della Bers, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, dal titolo peraltro emblematico - Diversifying Russia - usava toni severi nei confronti del Cremlino, reo di non aver raggiunto risultati tangibili nel processo di diversificazione a dispetto degli impegni annunciati. Nel 2013 le cose sono peggiorate, con il deficit del settore "non-oil" cresciuto al 10,3% del Pil.
Da tempo la crescita dei consumi mondiali di petrolio mostrava segni di debolezza. In balia delle tensioni geopolitiche, il prezzo del barile non rispecchiava la realtà. I fondamentali - vale a dire il bilancio tra domanda e offerta - indicava un eccesso produttivo. Mosca aveva cercato di massimizzare le entrate producendo quanto più poteva, fino a toccare in agosto un picco produttivo di 10,61 milioni di barili al giorno (mbg), solo 300mila barili in meno rispetto ai 10,64 mbg estratti in gennaio, il livello più alto dal lontano 1987. Ma già a metà settembre cominciavano ad affiorare le preoccupazioni. Se il petrolio Ural, la qualità russa più scambiata sui mercati, si manterrà sotto i 100 dollari, ma anche a 100, avvertivano diversi analisti, Mosca rischia la recessione. Ieri l’Ural era quotato 92 dollari. Dal 15 agosto al 14 settembre la media è stata di 98,28. Per avere un’idea delle conseguenze bastano pochi numeri: il budget 2014 è stato formulato basandosi su di un prezzo di 100 dollari. Quello del 2015 a 96 dollari. E quello medio del periodo 2015-2017 a 100 dollari. Ogni volta che il greggio scende di un dollaro - aveva sottolineato Maxim Oreshkin, capo del dipartimento di pianificazione strategica presso il ministero delle Finanze - il budget perde 2,1 miliardi di dollari.
L’Fmi ha già dimezzato le sue stime per il 2015 calcolando una crescita del Pil dello 0,5% (0,3% per la Banca mondiale). La tempesta che si sta abbattendo sul rublo rischia di peggiorare decisamente le cose. Nel trimestre luglio-settembre la moneta russa si è svalutata del 14% sul dollaro. Se l’anno prossimo i prezzi del greggio dovessero realmente scendere a 60 dollari, e mantenersi su questi livelli, alcuni analisti ritengono che il deficit del budget arriverebbe al 4,5% del Pil (il Cremlino prevede per il 2015 un deficit dello 0,6%). La Banca centrale sta dunque rivendendo i piani di emergenza tracciando diversi scenari. Fino a ieri ne aveva elaborati tre: quello base prevedeva un prezzo del greggio a 100 dollari al barile per i prossimi tre anni. Quello più prudente 86,5 dollari. Nessuno osava parlare di 60.
Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore 3/10/2014