Emiliano Liuzzi, il Fatto Quotidiano 3/10/2014, 3 ottobre 2014
OPERA, CACCIATI CON UN TWEET
Tutti a casa. 182 persone. Con un tweet firmato dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini: “Mi aspetto una scelta coraggiosa e di svolta”. In tempi di renzismi era chiaro che volesse dire licenziamento. E nell’aria c’era da giorni. Almeno da quando il maestro Riccardo Muti ha annunciato il suo ritiro e la rinuncia a dirigere l’orchestra. Ieri il sindaco Ignazio Marino e il soprintendente Carlo Fuortes hanno ufficializzato il licenziamento collettivo di orchestrali e coristi dell’Opera di Roma. Con o senza articolo 18. Tutti a casa. E soprattutto marchiati per essere i responsabili della rinuncia di Muti, fiammifero che nessuno voleva avere in mano. Sotto choc i sindacati che hanno affidato poche parole al segretario della Cgil del settore, Massimo Cestaro: “Nella ignoranza dilagante su come funziona un teatro d’Opera ci sarà ancora qualcuno che proverà a sostenere che questa sarebbe una buona strada per rivitalizzare il teatro. Altri diranno che questa è una scelta sofferta. La verità è in corso una strategia di smantellamento delle istituzioni culturali del nostro Paese”.
Dal punto di vista ufficiale, l’addio di Muti è tutta colpa della sua orchestra e non del ministro, del sindaco e del soprintendente. Una versione parziale. Anche perché Muti non lo ha mai detto. Ha semplicemente parlato di quella mancanza di tranquillità che lo aveva spinto ad accettare l’onere, più che l’onore, di dirigere il teatro. La situazione finanziaria, del resto, è sempre stata precaria: Roma, al contrario di Milano, non ha sponsor, al confronto è la sotto provincia. Marino e Fuortes, insieme al ministero azionisti dell’Opera, dicono che l’esternalizzazione degli orchestrali è un balzo nel futuro, “inusuale per l’Italia, normale a Vienna e Berlino”. Sicuramente la lirica, grande vanto del Paese che voleva esportare la Cultura, inizia il passo che la porterà verso una morte quasi certa. Sull’orlo della bancarotta ci sono il San Carlo di Napoli, il Regio di Parma, i teatri di Genova e Bari. Tutti, salvo poche eccezioni come Venezia e Milano. E l’addio di Muti, più che uno schiaffo alla “sua” orchestra, si trasformerà in un boomerang per il governo che, spesso e volentieri, parla di cultura. Molto più facile esportare come cultura le mozzarelle di Eataly che l’Aida.
La linea dura ha visto nell’uomo al comando quell’oggetto misterioso che è il sindaco Marino, lo stesso che aveva fatto carte false per i Rolling Stones al Circo Massimo, anche a un prezzo simbolico. “Questo è l’unico percorso che può portare a una vera rinascita dell’Opera”, dice. “Quindi il cda ha approvato esternalizzazione di orchestra e coro del Teatro dell’Opera votando la procedura di licenziamento collettivo”. E ancora: “Al momento non abbiamo immaginato di cancellare l’Aida del 27 novembre. Se ci saranno le condizioni ci attiveremo per ricercare un direttore da individuare entro la prima settimana di novembre, altrimenti non ci sarà l’Aida”. Letta così sembra che l’Aida sia già cancellata, ma non resta che credergli. Per non piangere. E a chiudere la famosa responsabilità per l’addio di Muti che qualcuno, in questo caso i licenziati e il maestro stesso, doveva pur prendersi: “Il doloroso e recente messaggio del maestro Muti ha determinato la frenata degli abbonamenti e la fuga degli sponsor. A questo punto ci troviamo in una situazione di risanamento avviato, ma con una differenza di entrate che può essere calcolata in 4,2 milioni. Gli altri soci fondatori, ovvero il ministro Franceschini e il governatore Zingaretti, hanno ascoltato dalla mia voce i possibili percorsi che avevamo davanti. Potevamo tentare un rattoppo temporaneo senza ambizioni di rinascita, potevamo procedere alla chiusura o, infine, adottare una strategia che puntava a una vera rinascita e la dolorosa strada del licenziamento collettivo”.
Più matematica la posizione del soprintendente. “Il risparmio che noi prevediamo da questa procedura di esternalizzazione è di 3,4 milioni”, spiega Fuortes. “Non ci sono stati corpi artistici a favore o contro. La gran parte del teatro è a favore del piano. Non c’è alcuna intenzione ritorsiva. L’unico elemento è una valutazione sulla funzionalità. Orchestra e coro valgono insieme 12,5 milioni in un anno”. Franceschini ricalca le parole di Marino, risparmia Muti, ma se la prende con i musicisti: “L’esternalizzazione di coro e orchestra decisa dal cda è un passaggio doloroso, ma necessario. La situazione era diventata insostenibile”.
Non spiega perché, il ministro, la situazione fosse diventata drammatica. In realtà c’era da tempo un problema molto serio con i conti, passivi, che nel tempo erano stati tenuti all’oscuro dello stesso cda. E la prova per risorgere era stata proprio la chiamata a Roma di Riccardo Muti, voluta e incoraggiata da Bruno Vespa che ha sempre avuto con Muti un rapporto di amicizia. Il castello di carta alla fine è crollato.
Emiliano Liuzzi, il Fatto Quotidiano 3/10/2014