Mario Baudino, La Stampa 3/10/2014, 3 ottobre 2014
COSTAKIS, IL GRECO CHE HA SALVATO KANDINSKY
& C. –
Non doveva essere facile essere un collezionista d’arte nella Mosca staliniana, e poi in quella degli Anni 70, e per di più farlo apertamente, coltivando i contatti non solo con gli artisti ma anche con le istituzioni, trasformando il proprio appartamento in un centro culturale. Una collezione privata era già qualcosa di «borghese» quindi fortemente sospetto; ma una collezione di artisti d’avanguardia, non conformisti, banditi dai musei e per l’ufficialità del tutto inesistenti poteva rappresentare una provocazione grave, un’attività antisovietica.
George Costakis non solo ci è riuscito, con l’abilità dell’uomo di gran mondo, con un fiuto infallibile e non poca destrezza; anzi ha raccolto la collezione più strepitosa e completa, prima a casa sua a Mosca e poi irradiandola in Occidente. Migliaia di sculture, quadri, disegni, appunti, studi soprattutto d’inizio Novecento, da Chagall a Malevich, da Kandinsky a Tatlin, da Rodchenko a Popova, da Rozanova a El Lissitzky sono passati per le sue mani, acquistati con tenacissima furia in base a regole che prevedevano anche non si dovesse mai trattare sul prezzo: perché, come spiegò in più occasioni, lo sconto alla fine si ritorce contro il collezionista.
Nato nel 1913 da un agiato commerciante greco trasferito in Russia a inizio secolo (che non aveva ritenuto la rivoluzione un valido motivo per andarsene), dopo aver lavorato per l’Ambasciata del Belgio – come autista –, aveva rapidamente conquistato una solida posizione come funzionario dell’ambasciata canadese, che gli garantiva una certa extraterritorialità. Per lui tutto cominciò nel 1946, quando, racconta, venne fulminato da un quadro di Olga Rozanova. «Mi accorsi che fino a quel momento avevo vissuto senza aprire le finestre», avrebbe poi spiegato in varie interviste. Era il punto di arrivo di un tirocinio come intenditore d’arte, antiquariato e in genere di ogni tipo d’oggetto collezionabile che potesse interessare gli ospiti stranieri quando, da autista, li portava a visitare Mosca.
Dopo l’opera della Rozanova non smise più di comperare, ma solo per sé. Furono trent’anni di furioso e selezionatissimo collezionismo, che fecero di lui uno snodo inevitabile per chiunque si interessasse di arte russa e sovietica. Visse a Mosca fino al ’77, poi si spostò in Grecia (dopo un anno trascorso a Roma) con la benedizione delle autorità e qualcosa come 1200 capolavori nei bauli, avendone donati quasi altrettanti alla Galleria Tretjakov, il museo deputato all’arte moderna. Va detto che intratteneva da tempo rapporti eccellenti – e riservati – con un’altra istituzione, il Museo di Leningrado, dedito a tutt’altro. Ma il direttore, che pure era un fedele membro del partito, gli acquistava sottobanco un bel po’ di opere, pensando al futuro, e mise insieme quello che nel mondo dell’arte divenne noto come il «museo segreto», a lungo interdetto ai visitatori, e solo rarissimamente a partire dagli Anni Ottanta mostrato a stranieri di rango. Non era facile essere un collezionista come Costakis nel Paese del socialismo reale, ma senza di lui forse la grande produzione dell’avanguardia sovietica sarebbe andata persa. Il «greco pazzo» che «raccoglieva spazzatura inutile» (era il suo soprannome a Mosca, come ci ricorda nel catalogo Maria Tsantsanoglou, direttrice del Museo di Arte contemporanea di Salonicco che raccoglie il più importane lascito) aveva il piccolo vantaggio di essere appunto cittadino greco, anche se ciò non impediva al Kgb di tenerlo sotto stretto controllo. Nella biografia racconta che almeno in un caso ebbe il timore di essere ucciso. Lasciò la Russia a causa delle crescenti provocazioni del temibile servizio segreto, che tentò infine di coinvolgerlo in una storia di spionaggio. Fino ad allora non gli erano mancati gli ammiratori e gli amici anche al vertice del potere. Arrivò anzi a un passo da quello che sarebbe stato un capolavoro politico-culturale: anticipare agli Anni 60 la riabilitazione almeno ufficiosa delle avanguardie russe e sovietiche grazie a Yekatrina Fursteva, esuberante ministro della Cultura nel periodo krusceviano (e secondo le voci del palazzo, amante di Kruscev). Il segretario del partito lanciava rumorose campagne contro gli artisti non-ufficiali, ma la Fursteva promise al collezionista di visitare le sue opere. Sarebbe stato un gesto di grande portata. Venne cancellato all’ultimo momento: la ministra non voleva mettersi in conflitto col capo. L’appuntamento era rinviato, e di parecchio.
Nel ’77 una selezione venne presentata a Düsseldorf, e due anni dopo al Centre Pompidou a Parigi. Ma la consacrazione è dell’81, quando i pezzi migliori vengono esposti al Guggenheim di New York, i musei russi aprono le porte, un intero mondo torna alla luce. Costakis morì nel 1990, alla vigilia della prima mostra in terra ellenica delle sue opere. Negli anni seguenti, l’intera collezione è stata acquistata dallo Stato greco, e conferita al Museo statale di arte contemporanea di Salonicco.
Mario Baudino, La Stampa 3/10/2014