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 2014  ottobre 03 Venerdì calendario

IMMERSO A NY, OMBELICO DEL MONDO

[Intervista a Riccardo Ruggeri] –
Di sé, Riccardo Ruggeri, dice di vivere negli interstizi. In realtà, questo torinese classe 1934, dopo una carriera tutta nel Gruppo Fiat, dove inventò New Holland quotandola a Wall Street, gira, osserva e racconta il mondo, dedicandosi agli affetti e alla Grantorino Libri, vero cameo, al pari di quelli, sapidissimi, che scrive per ItaliaOggi.
Per questa piccola editrice, che pubblica saggi di rara potenza come il Classe dominante di Angelo Codevilla, devolve tutti i suoi ricavi a un progetto benefico (hagarinternational.org), esce un altro libro del suo fondatore: New York, alla caccia di segnali deboli, già su Amazon come ebook (5,23 euro).
Una serie di interventi dall’ombelico del mondo, che i lettori di questo giornale hanno avuto la fortuna di leggere in anteprima.
Domanda. Ruggeri, perché uno se ne va in cerca di segnali sul futuro?
Risposta. Fin da piccolo ho avuto la curiosità di scoprire come sarebbe stato il futuro. Non ho mai amato la fantascienza, si proiettava troppo nel lungo termine, a me bastava il medio.
D. E che cosa leggeva?
R. Negli anni ’60 lessi molti studiosi di una scienza che stava avendo una seconda giovinezza, anzi un’esplosione, e che avrebbe poi fatto tanti danni, la sociologia. Mi interessai, in particolare, chissà perché, essendo io un banale travet, ai «comportamenti organizzativi» dei leader e allo studio delle varie forme di leadership. L’essere prezzolinianamente un «àpota» mi ha aiutato.
D. Già, ma New York perché? Città simbolo?
R. Dalla metà degli anni ’90, avendo riacquistato la libertà dell’adolescenza, almeno una volta all’anno vado a New York, ci sto una settimana, seguendo il protocollo dei cacciatori: entro nel bosco, e cerco solo le specie animali che ho programmato, non certo per ucciderle, ma solo per scoprirle. I segnali deboli che queste emettono mi stimolano a ragionare per cercare non certo delle «leggi generali», ma delle «tendenze». In fondo sono un innocuo cacciatore di trend.
D. Non si sottovaluti...
R. Le specie che ho «cacciato» quest’anno provenivano da tre differenti «boschi»: la Finanza, la Cucina, l’Arte Contemporanea. New York è tutta proiettata verso l’alto, sei costretto ad avere sempre gli occhi rivolti all’insù, per i molti anni che l’ho vissuta e frequentata, ho accettato di essere immerso nella sua luce. Ora non più, voglio conoscere quello che è nascosto nel suo ventre.
D. È spaventoso?
R. Un ventre orrendo e magico al contempo. Se riuscissi a decrittarlo, almeno in parte, riceverei dei segnali deboli che potrebbero essermi utili per dare una chiave di lettura del mondo in cui vivranno i miei nipoti, ai quali sono molto legato.
D. E, tornando in riva all’Hudson, stavolta che ha trovato?
R. Ho scoperto che l’animale Finanza ha superato i «complessi» di una decina d’anni fa. Dopo la Grande Crisi iniziata nel 2008 è felice di essere odiata dal 99% dei cittadini, i suoi adepti non si mascherano più ma rivendicano il ruolo pubblico di sacerdoti di sette medioevali atee. Addirittura hanno l’impudenza di ammantarsi di tecnicismi per perseguire obiettivi umanamente osceni che non tentano neppure più di mascherare. Sono la versione borghese degli jihadisti islamici, ti sgozzano non col coltello ma con l’algoritmo.
D. Immagine orribilmente suggestiva. E la Cucina?
R. È tornata al medioevo, due classi, due cucine. Quella per le élite arriva da 10mila km, la materia prima (base pesce) è di una bellezza sconvolgente, odori e profumi scomparsi, conta solo l’aspetto, lo chef non cucina più, «impiatta», questo è il nuovo must. Di contro quello delle classi medie e povere prevede che al pranzo di mezzogiorno si ingurgiti street food, alla cena a casa junk food. Entrambi appaiono una colatura di ogm e di ormoni, come fossero alici di Cetara. Mangiando questo cibo orrendo mi sento un eroe-cavia di Monsanto, immerso nell’atmosfera della vecchia Seveso.
D. Più che segnali deboli, sono segnali ultimativi. E l’arte?
R. Vai al MoMA, osservi un Edvard Munch del 1902, un Salvator Dalì del ’31, un Charles Ray del ’93 e capisci ora quello che quegli artisti avevano previsto allora.
D. E quindi, sulla scaletta dell’aereo che l’avrebbe ricondotta a casa, a che cosa ha pensato?
R. Di stare uscendo da una bolla umana e culturale: disincanto e solitudine.
D. E ci torna ogni volta?
R. Malgrado tutto, ogni anno: il fascino del futuro, forse orrendo, per me è irresistibile.
D. Come definirlo sinteticamente?
R. Un mondo di cipria puzzolente, in parte già arrivata nell’amato stivale, tranquilli, il resto arriverà presto.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 3/10/2014