Francesca Pierantozzi, Il Messaggero 2/10/2014, 2 ottobre 2014
«RENZI MEGLIO DI VALLS E HOLLANDE GUIDI LUI IL FRONTE CONTRO IL RIGORE»
[Intervista a Thomas Piketty] –
PARIGI Thomas Piketty resta modesto. Autore del bestseller «Il Capitale nel XXI secolo», appena pubblicato in Italia da Bompiani, mille pagine di storia economica e sociale per dimostrare che le disuguaglianze non fanno che aumentare dagli anni ’80 con gravi danni per la crescita e la giustizia sociale, assicura di non volere dare lezioni. «Non posso prevedere il futuro e non ho soluzioni certe - dice - ma è ingenuo pensare che le cose si sistemeranno da sole». Piketty sarà a Milano e Roma per due incontri, l’8 ottobre alla Bocconi e il 9 a Montecitorio. E se non ha soluzioni certe, di certo non ama quelle finora prospettate dai governi europei.
Qual è il posto dell’Italia nell’economia del XXI secolo?
«L’Italia illustra perfettamente l’emergenza di un nuovo capitalismo patrimoniale, è un caso estremo a livello della distribuzione della ricchezza. In un grafico sul rapporto tra capitale privato e pubblico nei paesi ricchi tra il 1970 e il 2010, l’Italia è al massimo livello per i patrimoni privati e al minimo per capitale pubblico».
Come giudica la politica di Matteo Renzi?
«Il rinnovo generazionale è già un fatto importante, per noi francesi in particolare, che soffriamo di un’assenza di rinnovamento del personale politico, con Hollande che era già all’Eliseo trent’anni fa con Mitterrand. Ma la giovane età non basta. Dopo sei mesi è il momento per Renzi di passare ai fatti, in particolare sull’Europa».
Per fare cosa?
«La situazione nella zona euro è molto grave. La crisi è stata gestita molto male e non si tratta solo di scelte economiche sbagliate: l’Europa compensa con un eccesso di rigidità nelle regole, in particolare sul controllo dei deficit, l’assenza di istituzioni politiche e democratiche adatte a una moneta unica, che non può esistere senza uno stato, senza un bilancio comune, con 18 sistemi fiscali diversi, 18 debiti pubblici, 18 tassi di interesse, 18 paesi in concorrenza sui mercati finanziari. Dobbiamo trasformare le istituzioni dell’eurozona, mutualizzare il debito pubblico e instaurare un’imposta comune sui benefici delle società, altrimenti continueremo a farci prendere in giro dalle multinazionali del mondo intero, con le nostre piccole e medie imprese più tassate dei colossi. Se non ci riusciamo a 18, bisognerà cominciare con un gruppo più ristretto di paesi».
Ma chi può convincere la Germania?
«Se l’Italia e la Francia presentassero alla Germania una proposta precisa di unione politica con un parlamento comune e un’imposta comune sui benefici delle società, sarebbe molto difficile per la Germania rifiutare tutto. Il problema è che per ora non c’è nessuna proposta. Renzi e Hollande parlano di crescita, ma non c’è un piano di unione politica. Siamo ancora in tempo. Mi piacerebbe che Renzi, che è forse più coraggioso di François Hollande e Manuel Valls messi insieme, facesse una proposta di questo tipo».
Renzi è coraggioso anche sul lavoro?
«Non conosco abbastanza la situazione italiana, ma sono convinto che sia possibile modernizzare, anche in modo radicale, il nostro sistema sociale senza smantellarlo. Troppo spesso la sinistra è sulla difensiva e considera le istituzioni create durante gli anni del boom come un paradiso terrestre intoccabile. Per chiedere riforme profonde del codice del lavoro o del sistema pensionistico, bisogna però mostrare alla gente che i più ricchi pagano la loro parte. Se le grandi società multinazionali pagano meno tasse sui loro benefici delle piccole imprese, ogni riforma è incomprensibile. Quando Monti ha creato una tassa sulla casa otto volte più alta di quella applicata alle rendite finanziarie, ha creato un’imposta regressiva, in cui un proprietario di una casa da 200mila euro paga di più di chi ha un portafoglio finanziario di svariati milioni. E’ l’ennesima illustrazione della contraddizione europea: da un lato è evidente chiedere un contributo ai patrimoni, dall’altro è difficile farlo da soli, perché i contribuenti scappano verso paesi con fiscalità più favorevoli».
Riformare è impossibile?
«Ci vuole più unione in Europa. L’unione politica non eliminerà la necessità di riformare il diritto del lavoro o le pensioni, ma le renderà possibili: è certo molto più facile far accettare i sacrifici, se si può garantire che saranno condivisi anche dai più ricchi. C’è un uso troppo ideologico del tema della riforma: bisogna essere radicali sulle riforme, ma anche sull’equità».