Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 2/10/2014, 2 ottobre 2014
QUEI VELENI DELL’EX PM CHE DURANTE IL PROCESSO ARRIVÒ A CITARE NAPOLITANO
ROMA La rivelazione risale a cinque mesi fa, ma viene rilanciata nel giorno più «nero» da quando Luigi de Magistris è a palazzo San Giacomo. Mentre il prefetto di Napoli Francesco Musolino scrive il provvedimento di sospensione, viene rilanciato da un sito internet quanto l’allora sindaco aveva raccontato il 9 maggio scorso di fronte al tribunale di Roma: il coinvolgimento di Giorgio Napolitano nelle inchieste su Tangentopoli.
All’epoca era apparsa una sortita innocua, una dichiarazione utile a giustificare il proprio lavoro di pubblico ministero. Oggi, tirata fuori dopo le accuse pubbliche rivolte da de Magistris al capo dello Stato, assume tutt’altro sapore. E rende ancor più incandescente lo scontro istituzionale nato dopo la condanna a un anno e tre mesi inflitta al primo cittadino una settimana fa. Un clima di veleni che in questo modo non viene certamente rasserenato.
Si torna dunque al palazzo di Giustizia della capitale dove de Magistris è imputato insieme al perito Gioacchino Genchi per abuso d’ufficio. È il Corriere di Calabria , ieri pomeriggio, a rilanciare quanto detto in aula da de Magistris nella primavera scorsa. Durante la sua lunghissima deposizione l’ex pubblico ministero ripercorre la conduzione dell’inchiesta «Why Not» quando era in servizio a Catanzaro. E per giustificare la scelta di «secretare» alcune iscrizioni nel registro degli indagati dichiara: «Siccome avevo elementi per ritenere collegamenti strettissimi tra gli altri di Pittelli (avvocato indagato in quell’indagine) con il procuratore della Repubblica, tanto da fare una società col figlio del procuratore, ritenni di secretare. Atto sicuramente forte, mi sono posto il problema se potessi secretarlo, mi sono anche consultato, c’era stato un precedente alla Procura della Repubblica di Napoli dove il mio magistrato affidatario, il dottore Cantelmo oggi procuratore della Repubblica e un altro magistrato oggi componente d’esame, Quatrano, mi dissero che anche loro durante l’inchiesta di Tangentopoli procedettero a secretare un’iscrizione, in particolare quella dell’allora presidente della Camera, Giorgio Napolitano e secretarono per evitare che ci potesse stare una fuga di notizie».
La storia è vera, risale al dicembre 1993. Ma, come chiarisce lo stesso Quatrano, «le modalità erano completamente diverse da quelle descritte da de Magistris». A ricostruire i fatti ci aveva pensato Pasquale Chessa nella sua biografia di Napolitano «L’ultimo comunista», pubblicata da Chiarelettere. Narra di quando «l’imprenditore Vincenzo Maria Greco, interrogato in Procura, parlando di un appalto di 500 milioni di lire per la metropolitana di Napoli, dichiara: “Pomicino ebbe a dirmi che aveva preso l’impegno con il capogruppo alla Camera del Pci dell’epoca, onorevole Napolitano, di permettere un ritorno economico al Pci”. Un indizio? Pur non votando la finanziaria, il Pci aveva approvato l’articolo per il finanziamento della metropolitana».
I pubblici ministeri Cantelmo e Quatrano iscrivono nel registro un codice alfanumerico che nasconde l’identità dell’indagato, ma depositano nella cassaforte della cancelleria una busta sigillata che contiene il nome di Napolitano. Poi avviano gli accertamenti. Interrogano Pomicino che, come ricostruisce Chessa, «confessa di avere ricevuto fondi dalla Metropolitana per le sue campagne elettorali dal 1987 al 1990, ma nega di avere mai consegnato mazzette a Umberto Ranieri su indicazione di Napolitano. Le tangenti al Pci napoletano, scandì Pomicino, erano solo un pettegolezzo messo in giro dal responsabile della Metronapoli, l’ingegner Italo Della Morte, che nel frattempo era deceduto».
Non ci sono dunque riscontri e l’indagine viene archiviata. Caso chiuso fino al 9 maggio scorso. Anzi, fino ai veleni di ieri.