Massimiliano Nerozzi, La Stampa 2/10/2014, 2 ottobre 2014
RIMANDATA
Alla fine scivola via dalle tasche anche il souvenir del risultato, che alla Juve avrebbe almeno fatto comodo per la classifica del girone, anche se poco avrebbe aggiunto al ricordo della serata di Madrid: deludente. Partita di minuscola bellezza, solo contrasti e agonismo a caratteri cubitali: è l’Atletico ragazzi, capace di far giocare male chiunque, Real Madrid compreso. Un nemico che sa falsificare pure le statistiche, se il 70 per cento di possesso palla juventino all’intervallo non è mai stato così baro, e poco cinico. Zero tiri in porta la Juve, povertà vista l’ultima volta nel 2006 (contro l’Arsenal), uno l’Atletico. I bianconeri volevano giocare e non far corrida: adelante, ma con juicio. Anche troppo. Le resistenze del campionato domestico non devono offrire plausibili punti di riferimento se non per la Roma che vince in Italia e convince in Europa. La Juve invece non è stata strapazzata, ma neanche ha fatto bella figura. E nemmeno lanciato un messaggio di forza, quello che s’auspicava Gigi Buffon alla vigilia. In una parola: rimandata.
Si parte come al solito, come fosse ancora il sabato di campionato, tra due allenatori che hanno messo fuorilegge il turnover: Simeone mette Raul Garcia per Gabi, ammaccato, Allegri recupera Caceres al posto di Ogbonna. La Juve prova a essere identica anche nel gioco: solo che il possesso palla, i triangoli, il baricentro alto servono davvero a poco, se l’impotenza sotto porta diventa imbarazzante. Sommerso Llorente, rare bracciate da Tevez. L’Atletico è l’Atletico: reparti serratissimi e contropiede, quando si può. Almeno, e qui sono bravi i centrali bianconeri, non fanno danni le frecce bicolori, perché finora i biancorossi avevano segnato 7 gol su 11 di testa, otto da calcio piazzato. Non è un mazzo di assi, soprattutto ora che non c’è più Diego Costa, ma sono carte messe bene sul tappeto verde. Una squadra, insomma, fino al midollo. Con un’anima e un impianto che, spesso, la portano al di là dei limiti. Un po’ come ieri sera: non aveva incantato, anzi, ma in mischia ha comunque pescato la santa deviazione, di Arda Turan, a Lichtsteiner fregato. È stato l’unico squillo della ripresa e, in sostanza, della partita.
Primo tempo, non avvistato. Al suono della campanella, con l’arena piena, si presentano tutti, ma 45 minuti dopo sembra non sia passato nessuno. Magari sono accorsi in 50.000 per un convegno di Herbalife, vista la divisa verde brillante dei bianconeri, prima indossata negli anni quaranta del novecento. Non c’è neppure corrida, semmai wrestling, con l’arbitro Brych impegnato a separare, fisicamente, i duellanti, e no sempre con lo stesso metro. Gomito alto di Bonucci su Mandzukic, (giallo, giusto), il croato su Lichtsteiner e Arda Turan su Tevez, stesi, niente. Ci si menerà anche nel secondo round. In compenso, Miranda e Godin vanno solo di fioretto: molto bravi. La Juve ci prova anche ad applicare il suo manuale, ma l’Atletico sporca tutte le traiettorie, e dove quando non si intercetta la palla, c’è sempre il piede. Llorente resta impantanato in area, un buco senza sponde, e Tevez gira a zonzo, senza una meta. Briciole da Pogba, in una di quelle notti dove, se vuoi diventare il numero uno, dovresti fare torte e candeline. Idem da Vidal. Domenica, c’è Juve-Roma e siamo tutti molto curiosi. Come lo eravamo ieri sera, per sapere quanto europea poteva, potrà, essere davvero questa Juve. Invece, si dovrà storpiare la battuta sull’impero di Carlo V: una squadra sulla quale non tramonta mai il dubbio, almeno in Champions.
Massimiliano Nerozzi, La Stampa 2/10/2014