Tim Teeman, D, la Repubblica 27/9/2014, 27 settembre 2014
HOLLYWOOD POKER
È un attimo: uno sguardo fulmineo, un interrogativo sul volto nel mezzo della conversazione, come se Molly Bloom avesse captato qualcosa nell’aria. Siamo seduti in un club privato di New York per parlare di come sia riuscita a mettere in piedi il giro di partite di poker a più alto contenuto di glamour e di denaro di tutta Hollywood, con personaggi famosi, colossi d’industria e della finanza, quando Bloom solleva lo sguardo. E sorridendo ai tipi eleganti a pochi metri di distanza da noi, si prepara ad andarsene.
La scena mi ricorda un passaggio della sua autobiografia, Molly’s Game, in cui, l’autrice descrive come sia riuscita a irretire alcuni tra gli uomini più potenti del mondo facendoli prendere parte alle «sue» partite grazie a strategiche interazioni sociali e a un’opera di moderata seduzione che li conduceva fino ai tavoli verdi allestiti nelle suite di hotel di lusso. Lì vincevano e perdevano in una sola serata milioni di dollari. Molly Bloom oggi ha 36 anni e dopo la confisca dei proventi della sua attività è «completamente sul lastrico». A vederla non si direbbe: i capelli lunghi e castani in tinta con il trucco sono curatissimi e impeccabili. È magra e bella. Ma il vestito aderente di Narciso Rodriguez e i tacchi Yves Saint Laurent risalgono a un’epoca precedente al suo tracollo, di cui la stampa Usa ha riempito le prime pagine, trasformandolo in un’ossessione dei settimanali di gossip. Il resto del suo guardaroba è noleggiato su RentTheRunway.com. «Sono passata da Prada a nada», dichiara.
Diecimila per giocare
Bloom aveva 26 anni quando un uomo, che nel suo libro chiama “Reardon” (l’identità di molo personaggi è stata protetta da pseudonimi), la assume come cameriera, promuovendola poi ad assistente e affidandole la direzione di una delle partite di poker high-stakes, quelle in cui si punta grosso. Allora il buy-in (la quantità minima di fiche che un giocatore è tenuto ad acquistare per partecipare) era 10 mila dollari. L’incontro si sarebbe tenuto al Viper Room, il locale salito agli onori della cronaca nera nel 1993 dopo che River Phoenix ci morì di overdose, frequentato dall’élite di Hollywood. Al tavolo verde sedevano anche Tobey Maguire e Leonardo DiCaprio. Lei, racconta, era «incredibilmente nervosa».
Una bisca da star
«Avevo visto DiCaprio in Titanic quando avevo 13 anni, Tobey per me era Spider-Man. Ero completamente sedotta da quell’ambiente che mi intimidiva ed esaltava al tempo stesso. Il denaro cambiava rapidamente di mano, in grandi quantità. «Leo non giocava molte partite. Indossava le cuffie. E pur di averlo vicino, Tobey pagava la quota d’ingresso anche per lui. Leo fungeva da specchietto per le allodole: se perdeva non era tenuto a pagare, se vinceva teneva per sé una percentuale».
Quella sera Molly si limitò a servire da bere e imparò a non rivolgere mai la parola a un giocatore impegnato nella partita. Gli uomini si scambiavano commenti «sui rispettivi matrimoni, sulla loro vita, le donne e le amicizie. Tobey raccontava della sua infanzia trascorsa nella miseria, dei topi che sfrecciavano sul pavimento. Venni a sapere prima di chiunque altro quali film stavano per girare, o se le loro mogli erano in dolce attesa. Ho imparato cose che nessuna donna vorrebbe imparare. Ero come una mosca sul muro di un club per soli uomini». Alla fine di quella prima serata, Bloom si portò a casa 3mila dollari di mance e andò da Barney’s per acquistare abiti sexy e raffinati (un Dolce&Gabbana, un Valentino). «Non ho mai desiderato fare l’attrice o sposare un produttore», racconta. «Sapevo che se mi fossi mossa con astuzia sarei riuscita a farmi strada. Desideravo il potere. E incontrare questi personaggi alle mie partite, riempire ogni sedia con qualcuno di famoso, mi faceva sentire importante». Di molte star di Hollywood, Bloom non ha mai fatto il nome «per proteggere il loro matrimonio e la loro carriera. Sono segreti che mi porterò nella tomba».
A letto con due Blackberry
Le sue partite divennero presto famose per essere le migliori di tutta Los Angeles e “Reardon” finì per delegarne tutto il controllo a Bloom. La giovane iniziò a organizzare incontri «improntati all’escapismo» che, anziché tenersi al Viper Room, si svolgevano in alberghi come il Peninsula e il Beverly Hills, dove i giocatori avevano a disposizione vassoi di stuzzichini, composizioni floreali, whisky scozzese, caviale, champagne e due massaggiatrici. C’era anche un agopunturista.
Bloom ormai conosceva il poker. «Li osservavo mentre giocavano e si mentivano a vicenda, avevo imparato a conoscere i loro punti di forza, le loro debolezze e gli indizi da cui si capiva che stavano bluffando». Non ricorreva mai alla seduzione. «Mantenevo un comportamento professionale». E di notte dormiva con due Blackberry sul petto: uno per il poker, l’altro per tutto il resto. «Frequentavo uomini che mettevano il denaro e la carriera al primo posto, e i rapporti umani al secondo. Erano loro i miei modelli». Matrimonio e figli le apparivano come una possibilità molto remota. «Avevo creato un mondo strano, surreale, da cui traevo una carica enorme. Avevo l’impressione di fare qualcosa che nessun altro faceva, e di farla molto bene». In un anno guadagnò 4 milioni di dollari: li spese per assumere un personal trainer e pagarsi massaggi, manicure e abiti costosi. «Se guadagni un mucchio di soldi puoi permetterti tutti quei vestiti che vedi sulle riviste, e soddisfare tanti sogni».
Spiderman ha un lato oscuro
Pur restandole vicina, la sua famiglia non approvava il modo in cui Molly si guadagnava da vivere. Il padre Larry, uno psicologo di Loveland, Colorado, aveva sempre esortato i tre figli (lei ha due fratelli) a riuscire negli studi e nello sport. Tant’è che, pur soffrendo di scoliosi, Bloom riuscì anche a qualificarsi per la nazionale di sci.
«La mia famiglia mi ha sempre voluto bene, ma non mi bastava. Credo di aver sostituito l’approvazione dei miei genitori con quella dei giocatori.
Bloom trascorreva «ore e ore» al telefono con Tobey Maguire. «Durante gli incontri mi mandava messaggi in continuazione per chiedermi chi stava vincendo e quanto. Si era accorto che tenevo alla buona riuscita delle partite, e anche lui. Gli sono stata di grande aiuto. Lui dietro le quinte prendeva delle decisioni che poi mi chiedeva di lettere in pratica».
Con il tempo, però, l’attore tentò di imporre la sua volontà. Il primo segnale fu quando le annunciò di voler essere pagato per averle prestato la Shuffle Master: una macchina da 17mila dollari che consente di distribuire a ogni mano le carte in maniera equa e casuale. Bloom pensava che stesse scherzando: «Stiamo parlando di un attore che prende 20 milioni di dollari a film», spiega. Maguire affermò inoltre di voler sapere chi avrebbe preso parte alle partite settimanali e di voler essere avvisato in anticipo nel caso in cui subentrasse un giocatore nuovo. «All’inizio mi era sembrato tanto carino. Ben presto però emerse un suo lato quasi diabolico».
Maguire aveva insistito per portare il buy-in a 50mila dollari. Un giorno Bloom ricevette una telefonata da Ben Affleck: «Ho sentito dire che organizzi delle partite interessanti», le disse. Lei temeva che una cifra di partenza così alta lo avrebbe messo in fuga, e invece fu proprio quella a farlo abboccare.
Bloom aveva capito che il gioco crea dipendenza «e che i giocatori vogliono sempre aumentare la posta». Quando Affleck si presentò, Rick Salomon, che presto sarebbe diventato l’ex marito di Pamela Anderson, gli domandò di punto in bianco: «Ehi, ma il culo di Jennifer Lopez ha la cellulite o è davvero ben fatto?». Il cuore di Bloom smise quasi di battere. Fino a quando Affleck rispose: «Ben fatto». Il gioco riprese.
La posta si alza
Dagli uomini Bloom ha imparato a farsi valere e a «correre dei rischi calcolati. Il poker è una metafora della vita». Nessuna donna l’ha mai contattata per giocare. «Le donne potrebbero essere ottime giocatrici, ma non credo che si sentirebbero a proprio agio scommettendo cifre così. Devono occuparsi della casa, immagino che troverebbero altri modi per spendere somme simili». La giovane racconta di aver incontrato «molti ostacoli in quanto donna. Nessuno voleva affidarmi l’organizzazione delle partite, ho dovuto dimostrare di meritarlo». Poi «se diventi eccessivamente mascolina gli uomini si sentono minacciati e quando perdono se la prendono personalmente».
Maguire intanto aveva perso diverse partite, e aveva iniziato a vedere con occhio critico i guadagni di Bloom. Una sera, davanti a tutti, l’attore disse a Bloom che se avesse fatto «il verso di una foca» le avrebbe lanciato una fiche da mille dollari. Imbarazzata e scioccata, cercò di farsi scivolare via quella frase con un sorriso, lui la incalzò. «Per lui avevo cambiato la posta in gioco», scrive Bloom nel libro, «avevo strutturato tornei sulle sue esigenze, memorizzato tutti gli ingredienti dei piatti vegani in città. Aveva vinto milioni mentre io soddisfacevo ogni sua richiesta, e ora mi voleva umiliare». Bloom si rifiutò di fare come gli chiedeva, ma si sentì, mi racconta, «completamente umiliata. Ricordo di aver pensato: “Come posso mettere fine a questa situazione? Forse dovrei fare ciò che mi chiede”. Ma avevo la mia dignità. Tutto procedeva così velocemente, e io non sapevo come porvi rimedio», racconta. «Ho imparato che le persone con tanti soldi sono infelici. Per certi versi non avere denaro è una liberazione: non sei obbligato a passare il tempo a mantenere quel livello di ricchezza».
Maguire era «visibilmente irritato» dal fatto che Bloom non avesse ceduto a fare la foca. L’unico motivo per cui le partite andavano avanti, è perché lei aveva cercato «i giocatori giusti, contro i quali Maguire avrebbe potuto vincere».
Fuga da Hollywood
Il controllo delle partite passò a un altro giocatore e Maguire la chiamò esultante: «Sei finita!». Nel 2008 Bloom, «devastata», lasciò LosAngeles.
Si trasferì a NewYork e ricominciò da capo, ricorda delle mani da 4 milioni di dollari giocate tra colossi di Wall Street. Intanto i problemi aumentavano, venne avvicinata dalla mafia, dopo un incontro in cui le fu chiesto denaro in cambio di «protezione», fu malmenata da un uomo che lei ritiene agisse per conto della criminalità organizzata. «Pensi di poter ancora dettare condizioni?», le diceva sbattendole la testa al muro e prendendola a pugni. Le infilò una rivoltella in gola, prese migliaia di dollari dalla cassaforte e le disse di sapere che la sua famiglia viveva in Colorado.
Fu lì che si rese conto che non poteva raccontare a nessuno dell’accaduto. Non corse in ospedale, restò a casa in attesa che i segni delle percosse svanissero. «Non credo che dopo un fatto simile si possa vedere il mondo con gli stessi occhi. Pensavo che la mia vita sarebbe finita lì. Ero talmente lontana dalla realtà che non piantai tutto: potere e denaro erano i miei idoli. Ero perduta».
Fermi tutti, è la polizia
Quando un giocatore della cerchia losangelina fu incriminato dal governo federale per la gestione di un fondo truffaldino, e spifferò tutto sulle partite di Bloom, le fu chiesto di testimoniare. Lo fece e poi tornò a New York per ricostruire il proprio impero prima di abbandonare a testa alta il mondo del poker. Ma a marzo del 2011 venti agenti dell’Fbi fecero irruzione durante una delle partite, Bloom non era presente. Raggiunta dalla notizia, la giovane tornò in tutta fretta in Colorado, dove si rese conto che i suoi beni erano stati confiscati dal governo e tutti i suoi conti bancari erano in rosso: per 9 milioni e 999.999 dollari. Venne interrogata dal procuratore riguardo alla criminalità organizzata, e benché il suo avvocato avesse fatto presente che le partite di poker non violavano alcuna legge, fu ribattezzata dalla stampa «principessa del poker». Bloom aveva sempre pensato che la sua attività ricadesse in una zona grigia, che alla peggio i suoi conti sarebbero stati sottoposti a rigorosi accertamenti fiscali. Poi, una mattina di aprile 2013, l’Fbi bussò alla sua porta e in un convulso balenìo di torce, armi e manette, Bloom fu arrestata, rinchiusa in cella per dodici ore, infine accusata di essersi arricchita con partite illegali. Inizialmente lei si dichiarò non colpevole, ma a dicembre accettò le accuse. A maggio è stata condannata a un anno di libertà vigilata e a 125mila dollari di multa. «Ho infranto la legge, ma non sono finita in prigione. Sono stata fortunata». Alla fine del libro, un’ammissione di colpa: «Sono stata coraggiosa. Ma anche avventata, egoista. Ho perso di vista ciò che conta per correre dietro alla ricchezza e all’affermazione sociale». Aggiunge: «Sono sempre stata corretta, ho solo preso decisioni incaute. Ma sono una brava persona».
Vita da film
Due anni fa è tornata a vivere in Colorado. Ha scritto il libro e adesso per chiudere il cerchio cerca sceneggiatori e registi interessati a girare un film su di lei. Delle partite le manca l’aspetto organizzativo e strategico, ma non quello «intrinsecamente losco» di quel mondo. La sua storia non è solo il racconto di una donna che ha fatto giocare a poker DiCaprio e Affleck, ma quella di una donna «in un mondo di uomini che riesce a tener testa ai bulli». Di quell’esperienza le rimane l’abitudine «a considerare le persone come potenziali giocatori di poker». Ma «l’idea di tornare a essere quella di un tempo mi paralizza: in quel mondo c’è tanto vuoto e autocommiserazione».
L’ultima volta che ha incontrato Maguire è stato lo scorso maggio, al museo d’Arte Moderna di Los Angeles. «Non ci siamo salutati», ride. Cosa gli direbbe se lo incontrasse ora? «Vieni a giocare?», risponde Bloom con un sorriso malizioso.
(The Times Magazine/NI Syndication. Traduzione di Marzia Porta)