Rita Fatiguso, Il Sole 24 Ore 30/9/2014, 30 settembre 2014
SE PECHINO NON ALLENTA LA MORSA
Chi ha paura di Hong Kong? Le immagini di una protesta di massa che non si placa iniziano a togliere il sonno a Pechino, la cui mancanza di flessibilità nella gestione del futuro politico dell’ex colonia britannica si è già trasformata in un boomerang. Intanto, si è aperto un nuovo fronte nell’ordine pubblico in un’area che non è paragonabile allo Xinjiang o al Tibet. Hong Kong è una piazza sotto gli occhi del mondo, non è un’enclave sperduta tra montagne e deserti.
Quel che succede in Causeway bay non può essere occultato facilmente. Hong Kong, inoltre, non è Macao, il paradiso del gioco d’azzardo il cui governatore è stato appena riconfermato per altri quattro anni senza colpo ferire. Tuttavia, il governo di Pechino ha minori margini di manovra per interventi diretti e muscolari. Soprattutto, ha grandi piani per Hong Kong che non può mandare all’aria per la protesta di un manipolo di studenti e di sognatori incalliti, sta studiando un matrimonio di puro interesse tra le borse di Hong Kong e Shanghai, la data è fissata a metà mese, una seconda tornata di crash test è stata condotta nel week end con esisti positivi, la mossa prelude a investimenti e quotazioni reciproche. Insomma, è la doppia felicità finanziaria. Hong Kong, a sua volta, non può sfuggire alla morsa di Pechino, deve riuscire a trovare smalto e ad attirare capitali freschi, i big cinesi della tecnologia le voltano le spalle, è ormai noto che a guadagnarci sia Wall Street e non soltanto perché ha appena accolto Alibaba a braccia aperte nei suoi listini. Pechino sta, dal canto suo, spingendo Shanghai al massimo, non è affatto un caso che proprio da oggi inizino le contrattazioni e gli scambi euro-yuan, la valuta è stata finalmente autorizzata.
La Cina ha bisogno di crescere finanziariamente e Hong Kong è una pedina in questa strategia che non può essere lasciata al suo destino. Ma tanta conflittualità lascia il segno, ieri Hong Kong ha chiuso in negativo, negativi i futures, le quotazioni dell’oro, anche Wall Street è andata in fibrillazione. Ricevendo la scorsa settimana una sessantina di tycoons di Hong Kong il presidente Xi Jinping l’ha detto chiaro e tondo, noi chiediamo a Hong Kong stabilità, il nostro Governo vi promette in cambio sostegno contro tutti quelli che a questa stabilità attentano. I capitali non si toccano. Con le manifestazioni di piazza i buoni affari scappano. Per questo suonano davvero poco centrate le lapidarie parole risuonate, a fine agosto, in conferenza stampa nella Great Hall of People: niente suffragio universale, scelta limitata ai tre candidati filtrati da 1.200 grandi elettori. Questo il responso dello State Council. Una formula meno draconiana avrebbe forse aperto qualche spiraglio utile in un momento così difficile per la Cina, alle prese con un’economia che non vuole più crescere.
Rita Fatiguso, Il Sole 24 Ore 30/9/2014