Vladimiro Polchi, la Repubblica 30/9/2014, 30 settembre 2014
DAI FILIPPINI AI CINESI, I MIGRANTI D’ORIENTE ALLA CONQUISTA DELL’ITALIA
Davanti al ristorante di Zhou Fenxia, nel cuore di Roma, ogni fine settimana c’è la fila. Il locale è grande, ma non basta a smaltire la clientela crescente. Fenxia è un’imprenditrice di successo, ma non è la sola: dietro di lei, un esercito ingrossa di giorno in giorno le sue fila. È il boom dell’immigrato d’Oriente, che sta cambiando il volto urbano delle città italiane. Persi dietro l’emergenza sbarchi, non ci accorgiamo infatti di aver bruciato un record: siamo diventati il primo Paese in Europa per presenza di asiatici. Una crescita impetuosa, oltre il 50% in più negli ultimi cinque anni. Per capirci: l’Italia ospita le comunità cinesi, bangladesi e filippine più numerose del continente.
Tracciare l’identikit degli “orientali d’Italia” non è difficile: crescono a ritmi vertiginosi, lavorano, fanno impresa, mandano un fiume di denaro a casa e delinquono meno degli altri. I dati Eurostat sui permessi di soggiorno sono chiari: l’Italia è il primo Paese per presenza di asiatici (oltre 1 milione al 31 dicembre 2013, quasi un quarto del totale Ue). Ma quello che più salta agli occhi è la rapidità della crescita: negli ultimi cinque anni sono aumentati del 51,6%. A fotografarne l’ondata è ora uno studio della Fondazione Leone Moressa. Cosa emerge? Innanzitutto le nazionalità: quasi un terzo della popolazione cinese in Europa si concentra in Italia. Record per gli immigrati del Bangladesh: addirittura 6 su 10 sono da noi. Il nostro Paese risulta secondo solo per indiani e pachistani, che scelgono il Regno Unito.
Il loro segreto? «La solidità delle reti sociali e familiari — risponde Asher Colombo, sociologo a Bologna e curatore della collana Stranieri in Italia dell’Istituto Cattaneo — gli asiatici infatti hanno famiglie coese, abbattono i costi di impresa, e soffrono poco di disuguaglianze di genere, impegnando nel lavoro anche le donne. Così attraggono in Italia sempre più connazionali». Non solo. Spesso, sono bravi a scuola. Il 17,6% degli alunni stranieri oggi proviene dall’Asia e «il loro livello di successo scolastico — spiega Colombo — è spesso superiore agli altri immigrati».
Le regioni preferite sono Lombardia (30,2%), Lazio (13,6%) ed Emilia Romagna (11,6%). Sono un esercito di lavoratori: gli immigrati asiatici hanno infatti un tasso di occupazione del 61,1%, contro il 57,1% complessivo degli stranieri (già molto alto rispetto al 41,8% degli italiani). I cittadini filippini, poi, presentano un tasso di occupazione del 77%, i cinesi del 68,5%. Cosa fanno? I cinesi sono occupati nel commercio (34,5%), gli indiani nell’industria (35,8%) e i filippini nei servizi alle persone (66,7%).
Non manca chi si mette in proprio, come Christine Chua, filippina, arrivata in Italia nel 2000. Tre anni fa, l’idea: Christine fonda la Delta Contract , azienda specializzata nell’illuminazione delle navi da crociera. Nel 2013 fattura 1,2 milioni di euro. Oggi conta 5 dipendenti e stima una crescita del fatturato del 22%. Come lei, tanti sono gli imprenditori asiatici: quasi 135mila. Di questi, 60mila cinesi. E anche qui a contare è il trend di crescita: nell’ultimo anno gli imprenditori orientali in Italia sono cresciuti dell’8,3%, mentre gli stranieri complessivamente hanno registrato solo un aumento del 2,4% e gli italiani sono calati del 1,8%. La nazionalità che ha segnato l’aumento maggiore è quella del Bangladesh (+18,6%).
L’Asia è anche il primo continente di destinazione delle rimesse degli immigrati in Italia (44,7%), con un tesoro di 2,5 miliardi di euro nel 2013. Il primo Paese di destinazione è la Cina: oltre 1 miliardo. Tra le principali province di invio del denaro, Prato: da qui parte il 16,2% delle rimesse verso la Cina. Un ultimo dato: gli immigrati orientali delinquono, certo, ma meno degli altri. L’incidenza dei detenuti asiatici sul totale degli stranieri è infatti molto bassa (6,5%), considerando che la popolazione asiatica incide su quella straniera per quasi il 20%. La prima nazionalità è la Cina. Ma conta appena 235 detenuti. «Gli immigrati orientali delinquono meno degli altri — conferma Colombo — e questo grazie al sostengo dei loro gruppi familiari, uniti sul lavoro, tanto da occupare sempre più settori economici. Un esempio? I bar dei cinesi».
Vladimiro Polchi