Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 30 Martedì calendario

VENI, VIDI, VIPERETTA

Felicemente intriso di avanspettacolo, Massimo Ferrero si muove nella Serie A come un Romeo Anconetani molto meno sincero e molto più fuori tempo massimo. Sa che il suo personaggio lo costringe al colpo da basso teatro: al quasi volgare. E lui, per nulla imbarazzato, dà ai media ciò che i media vogliono da lui. Vive e parla sopra le righe, compiaciutamente. Inchini, esultanze e scarpe improponibili. La sua agorà televisiva preferita è Sky, ma solo perché da quelle parti si aggira Ilaria D’Amico. Nostra Signora dei Feticisti non c’era, nel prepartita di domenica sera, ma lui l’ha evocata comunque. Ha esordito con smorfie e faccette, accusando il giornalista di porre “domande banali” e fingendo di essere infastidito dalla troppa attenzione mediatica piovutagli addosso da quando ha rilevato a giugno la Sampdoria. Poi, in zona Cesarini, il sonetto: “Cara D’Amico, je volevo dire che c’ho l’anello ar dito, c’ho er mosquito e la vorei portare a Ostia Lido”. Il testo era debole, la pronuncia di “mosquito” ancora peggiore. Dopo cotanta perla se n’è andato, per seguire il derby con l’amico Ricky Tognazzi e festeggiare in mezzo al campo, stando bene attento – come sempre – a esagerare. Monica Vitti – dice lui – lo chiamò “Viperetta” perché seppe difenderla con veemenza e baldanza, nonostante la statura poco monumentale, dalle attenzioni di un aggressore. Ogni sua intervista è un concentrato di provocazioni caricaturali, ogni sua mossa è fieramente tamarra. L’eleganza non lo ha mai intaccato: è arrivato, si presume ironicamente, a vantarsi di come fosse scaltro rubare i soldi della nonna quando lei stava per andarsene.
Al momento sfrutta l’effetto novità (o Dejà vu, vedi alla voce Anconetani o Rozzi). Alla lunga, ma pure alla medio-breve, è il classico guitto greve destinato a risultare respingente. Su Twitter si firma @unavitadacinema, anche se al grande schermo non ha regalato molto e la sua prova migliore resta forse il cameo da venditore di levrieri nel diversamente indimenticabile Camerieri. Giura di avere partecipato alla produzione di 50 film o giù di lì, non tutti prescindibili (Monicelli, Salce, Bertolucci, Brass, Montaldo). Proprietario di una sessantina di sale cinematografiche, ama recitare il ruolo del magnate popolano che si è fatto da solo regalando spettacolo: “Non faccio lo stadio, faccio la fiction. Ho voglia di vincere, di emozionarmi”. Il passato narra matrimoni con ricche ereditiere della caciotta e condanne per bancarotte fraudolente. Il presente è un istrionismo per ora redditizio, una trivialità crassamente sbilenca (a suo modo simpatica) e una squadra, per dirla con Altobelli, lanciata come “un carro armato con le vele spiegate”. Destinazione Europa League. O anche solo Ostia Lido.