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 2014  settembre 30 Martedì calendario

MA IN SENATO RIFORMA IN BILICO COSÌ È SALTATA L’ULTIMA MEDIAZIONE


LO SCENARIO
ROMA Finisce con il Pd che vota a stragrande maggioranza per modificare, di fatto abolire, l’articolo 18. E finisce con una direzione che dando via libera a Matteo Renzi vede le varie minoranze dividersi al proprio interno in tutte le sfaccettature possibili: a favore, contro, astenuti. Per il no si esprimono gente che conta, fra i quali due ex segretari: Bersani, D’Alema, Cuperlo, Fassina, D’Attorre, Civati, più alcuni irriducibili bersanian dalemiani; a favore i giovani turchi che ormai stanno a pieno titolo in maggioranza, nonché i fioroniani e mariniani schierati con il segretario; tra gli astenuti, il capogruppo Speranza, un altro ex segretario come Epifani, la lettiana De Micheli. Una divisione verticale, che per quanto annunciata si rifletterà fin da subito nel lavoro parlamentare, in Senato prima di tutto, dove esisteno sette emendamenti al provvedimento Poletti firmati da 40 senatori del Pd (oggi il gruppo torna a riunirsi con la regia del capogruppo Luigi Zanda).
PREOCCUPATI
Sulla ricaduta in Parlamento hanno espresso preoccupazione tutti, a partire proprio da Renzi che ha cominciato il discorso conclusivo in direzione mettendo le mani avanti: «Dividersi non è un dramma, mi auguro che in Parlamento si voti poi tutti allo stesso modo». Un riferimento anche da parte di Orfini: «No a un partito anarchico». Il problema è molto semplice: se i 40 trasformano il loro sì ai 7 emendamenti in un no al provvedimento, il governo non ha più maggioranza al Senato, visto che il margine attuale è di 14 voti, e visto che l’eventuale soccorso azzurro di FI sarebbe un cambio di maggioranza bisognoso di una ascesa al Colle. Ma il lavorio delle prossime ore e giorni sarà dedicato proprio a questo obiettivo, far rientrare il dissenso nei gruppi parlamentari. Altrimenti si va alla crisi, nudo e crudo.
Ma come mai la mediazione, tentata fino all’ultimo, è saltata? Mentre Renzi parlava, D’Alema e Bersani seduti in file differenti ma non lontani guardavano i rispettivi ipad, e in alcuni passaggi borbottavano, e chi gli stava vicino se n’è accorto. Quando Bersani ha finito di parlare ed è tornato al suo posto, D’Alema si è avvicinato e gli ha detto «bene, bene». Cenni d’intesa, momenti di avvicinamento, dopo mesi e mesi di incomprensioni se non di gelo. Ma è proprio questo l’obiettivo che il premier-segretario si prefissava: collocare lì nell’angolo i due ex leader, la «vecchia guardia», quasi fossero la replica dei Natta e Tortorella ai tempi del Pds, due che gli allora giovani D’Alema e Bersani politicamnete avversarono. Per tutta la giornata è andato in scena il genio pontieri. Obiettivo: arrivare a una mediazione che salvaguardasse l’unità del Pd e soprattutto delle minoranze, che erano arrivate all’appuntamento della direzione già divise, se non in ordine sparso, tra chi voleva comunque votare contro, chi astenersi, e chi a favore. A pranzo si sono visti i vice segretari Guerini e Serracchiani, assieme a Speranza e Orfini, una sorta di ”accordo dell’hamburger”, visto che si trattava di un noto ristorante di carne. Poi, per tutta la durata della direzione, la trattativa è andata avanti in un clima assai teso. Due i punti buoni per trattare, offerti dallo stesso Renzi che ha finanche rischiato di apparire come uno che indietreggiava: l’estensione dell’articolo 18 anche ai casi disciplinari e, secondo, la disponibilità a incontrare i sindacati, due punti sui quali le minoranze si sono buttate a pesce per chiudere un’intesa. Nella stanza di Guerini si sono piazzati Epifani, Damiano e Speranza, ma la conclusione non è stata quella attesa. Il motivo? Mentre era all’opera il genio pontieri, è entrato prepotentemente in campo il genio guastatori, da una parte e dall’altra. Ma il disco rosso è venuto soprattutto dal duo D’Alema-Bersani, uniti nella lotta al premier-segretario.