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 2014  settembre 30 Martedì calendario

TFR, PIANO CON IL SI’ DI ABI E IMPRESE - MARIO SENSINI, CORRIERE DELLA SERA 30/9/2014

La conferma del bonus Irpef di 80 euro, ma anche una nuova riduzione del costo del lavoro per le imprese, per circa 2 miliardi, probabilmente con un taglio dei contributi, il finanziamento dei nuovi ammortizzatori sociali per un miliardo e mezzo. Oltre ai fondi aggiuntivi per l’istruzione, un altro miliardo, e a un po’ di respiro per i Comuni, con un leggero allentamento del Patto di Stabilità soprattutto per il finanziamento delle opere pubbliche. E allo spostamento, dal prossimo gennaio, di una parte del Tfr nella busta paga, purché si trovino compensazioni adeguate per le imprese.
Oggi in Consiglio dei ministri arriva la Nota di aggiornamento delle previsioni economiche e, dunque, del nuovo quadro della finanza pubblica, che potrebbe vedere il debito in calo quest’anno, ma la manovra di bilancio per il 2015, che arriverà nel giro di un paio di settimane, è già delineata. Sarà una manovra lorda di circa 20 miliardi di euro, che saranno recuperati attraverso i tagli della spesa, solo una minima parte dei quali verrebbe destinata alla riduzione del deficit. Il “menù” è quello delineato dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ieri alla direzione del Pd, dalla conferma del bonus «per undici milioni di contribuenti» alle novità in materia di Trattamento di fine rapporto.
Per finanziare la manovra il governo non infrangerà il tetto del deficit del 3%, «che affonda le sue radici in un mondo diverso rispetto ad oggi, ma sappiamo che il danno reputazionale che l’Italia avrebbe nel non rispettare quel vincolo sarebbe più grave dei vantaggi che potremmo avere a superarlo» ha detto Renzi. L’Italia dovrebbe puntare ad un allungamento dei tempi del pareggio di bilancio, come ha lasciato intendere anche ieri il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, critico per giunta sui meccanismi europei di sorveglianza sui conti pubblici, che presentano anche «difficoltà statistiche».
Secondo le nuove previsioni, il pil del 2014 si ridurrebbe dello 0,3-0,4%, mentre per il 2015 si tornerebbe ad una crescita, comunque modesta. Il deficit pubblico sarebbe al 2,8-2,9% quest’anno, ed appena al di sotto nel 2015, mentre il «close to balance» si raggiungerebbe nel 2016 ed il pareggio l’anno successivo. Dai nuovi dati, però, potrebbe emergere una novità importante. Anche per effetto della rivalutazione del pil, il rapporto con il debito pubblico potrebbe scendere già nel 2014, per la prima volta dopo tantissimi anni.
Mario Sensini

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PIANO SUL TFR IN BUSTA PAGA - VALENTINA CONTE, LA REPUBBLICA 30/9/2014 -
Il Tfr in busta paga, a partire da gennaio. Il governo ci lavora dalla scorsa estate, anche se al ministero dell’Economia «non se ne è mai discusso» e «non esiste un piano», dicono in coro viceministri e sottosegretari. Ma ieri il premier Renzi l’ha ufficializzato, alla direzione del Pd. Aggiungendo subito che occorrerà «un protocollo tra Abi, Confindustria e governo» che consenta di «attingere» agli strumenti messi a disposizione dalla Banca centrale europea per compensare le piccole e medie imprese della inevitabile sottrazione di liquidità, «soprattutto quelle sotto i dieci dipendenti».
Ad optare per più denari subito, anziché (rivalutati) poi, alla fine del percorso professionale, saranno per ora i lavoratori privati.
Esclusi gli statali, dunque. Ma anche con buona probabilità coloro che hanno scelto di depositare il Tfr nei fondi pensione, anziché lasciarlo in azienda (per non mettere a rischio il processo di accumulo di pensioni integrative). L’ipotesi allo studio dei tecnici prevede un anticipo del 50% della liquidazione che si matura in un anno. A spanne, chi guadagna 2 mila euro netti al mese, ne riceverà 80. La misura parte come annuale, ma potrebbe essere estesa al triennio. Molti i problemi aperti. Il primo è fiscale. Il Tfr ad oggi gode di un trattamento privilegiato, la tassazione separata. Se finisce in busta paga, si cumulerà con la parte restante del reddito, contribuendo ad alzare l’aliquota marginale Irpef? Si pagheranno cioè più tasse? Al momento nulla si sa. L’ostacolo è però aggirabile con la ritenuta alla fonte, ad esempio. Oppure considerando quell’anticipo come acconto sul Tfr finale, dunque tassato allo stesso modo (agevolato).
Poi c’è la questione della sostenibilità finanziaria dei bilanci dell’Inps e delle piccole e medie imprese. Le aziende con più di 50 dipendenti girano il Tfr “inoptato” (quello che i lavoratori decidono di lasciare nell’impresa) a un fondo del Tesoro gestito dall’Inps.
Mentre quelle sotto i 50 dipendenti, lo trattengono in cassa. Cosa succede se i lavoratori decidono di chiedere l’anticipo in busta paga? Un “buco” in entrambi i bilanci: quello dell’Inps, pubblico (da ripianare con un intervento di copertura dello Stato)e quello delle pmi (di qui la necessità di un “protocollo” con le banche per usare i denari della Bce). Non a caso ieri sera, dopo l’annuncio di Renzi, Rete imprese bollava l’operazione come «impensabile» per l’impossibilità delle piccole aziende di «sostenere ulteriori sforzi finanziari» e di «indebitarsi per alimentare i consumi dei propri dipendenti». Su 22-23 miliardi di flusso annuo di Tfr, 11 miliardi restano in azienda, 6 finiscono nel fondo di tesoreria, 5 e mezzo ai fondi pensioni. Con l’ipotesi del 50% del Tfr in busta paga, otto miliardi e mezzo potrebbero finire dunque negli stipendi. Quasi l’ammontare del bonus da 80 euro. «Io sono perché si alzi il salario dei lavoratori», dice non a caso Renzi. E tutto fa brodo, anche il “salario differito”, per uno «scatto ulteriore del potere di acquisto».

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LA SIMULAZIONE: IN BUSTA PAGA 55 EURO IN PIU’ CON 1.500 EURO - RITA QUERZE’, CORRIERE DELLA SERA 30/9/2014
Dal primo gennaio 55 euro in più in busta paga per chi guadagna 1.500 euro lordi al mese. Questa la posta messa sul piatto dal premier Matteo Renzi. Attenzione: si tratta di soldi che sono già dei lavoratori. Parliamo della liquidazione maturata ogni anno. Risorse che il dipendente mette materialmente in tasca solo quando esce dall’azienda. Almeno così è andata finora. Perché il governo — come ha ribadito il premier nella Direzione pd — lavora perché il Tfr possa essere inserito nelle buste paga attraverso un protocollo tra Abi, Confindustria e governo già dal primo gennaio 2015.
La stima del vantaggio che il lavoratore medio potrebbe avere in busta ogni mese (i 55 euro) viene da Alberto Brambilla, esperto di previdenza e sottosegretario al Welfare dal 2001 al 2005. Sua la riforma della previdenza integrativa (legge 252/2005). «Così affossiamo il sistema dei fondi pensione che già in Italia non è decollato come in altri Paesi», è la prima obiezione di Brambilla. Ma l’ostacolo sarebbe anche un altro: «Oggi ogni anno gli italiani maturano Tfr per un valore di circa 25 miliardi. Di questi, 5,2 vanno ai fondi pensione. Altri 6 all’Inps. Circa 14 si fermano nelle casse delle piccole imprese — fa il punto Brambilla —. Se il premier vuole dare subito il 50% del Tfr ai lavoratori, allora si creerà un buco da 3 miliardi l’anno nelle casse dell’Inps che andrà coperto».
Ma le prime avversarie sono le imprese. «Se l’intenzione è far chiudere decine di migliaia di piccole aziende che stanno resistendo stremate alla crisi siamo di fronte alla misura perfetta», è l’ironia amara di Giorgio Merletti, presidente di Rete imprese Italia e Confartigianato. L’argomento trova voci attente anche nella maggioranza. «Il Tfr in busta paga? Una misura da studiare bene perché rischia di mettere in difficoltà le nostre piccole e medie imprese», osserva l’economista e senatore pd Carlo Dell’Aringa. Per finire, c’è una questione legata alla previdenza. Sollevata da Brambilla ma anche da Maurizio Del Conte, giuslavorista della Bocconi di Milano: «Il Tfr serve a fornire una sicurezza in più al lavoratore che esce dall’azienda. Dare i soldi subito vuol dire smettere di guardare al futuro». Una voce positiva si leva invece da Italia Unica: «Apprezziamo che la nostra proposta trovi ora accoglienza dal premier — ha detto ieri Corrado Passera — seppure con troppi chiaroscuri».
Rita Querzé

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TFR IN BUSTA PAGA DAL 1° GENNAIO - MARCO ROGARI, IL SOLE 24 ORE 30/9/2014
Inserire dal 1° gennaio 2015 il Tfr maturando nelle buste paga dei lavoratori. È uno degli interventi che l’esecutivo Renzi intende centrare con la prossima legge di stabilità «attraverso un protocollo tra Abi, Confindustria e Governo». L’obiettivo è «consentire un ulteriore scatto del potere d’acquisto», ovvero rilanciare i consumi. A confermare l’operazione anticipata il 24 settembre scorso sulle colonne di questo giornale è Matteo Renzi in persona nel suo intervento alla direzione Pd. Di più il premier non dice. Ma Palazzo Chigi tiene a far sapere che questa misura potrà scattare solo a patto che si creino le condizioni per garantire alle imprese, «soprattutto sotto i dieci dipendenti», di non perdere minimamente liquidità.
Un concetto ribadito dal responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, che aggiunge: l’operazione può decollare «utilizzando la leva Bce» in termini di accesso agevolato al credito per le imprese. Il tutto dovrebbe essere vincolato al dispositivo delle garanzie pubbliche fornite esplicitamente dal Governo, rafforzando quelle già previste indirettamente con il Fondo Inps, e con il possibile coinvolgimento della Cdp.
Le imprese però appaiono tutt’altro che entusiaste. Dopo i timori espressi nei giorni scorsi da Confindustria sul rischio che questo intervento possa creare numerosi problemi di liquidità per le aziende, ieri è stata Rete Imprese Italia a manifestare la sua preoccupazione: per le piccole imprese è «impensabile anticipare il Tfr in busta paga».
Il flusso annuale delle liquidazioni supera di poco i 22-23 miliardi: 5,5 dei quali vengono indirizzati dai lavoratori ai fondi pensione, altri 6 confluiscono nel fondo di tesoreria dell’Inps e circa 11 miliardi restano in azienda. In quest’ultimo caso a rimanere nelle disponibilità del datore di lavoro è soprattutto il Tfr degli occupati in aziende con meno di 50 addetti perché per quelle più grandi la liquidazione, se non viene convogliata sulla previdenza integrativa, finisce nel fondo Inps. Di qui l’allarme soprattutto delle imprese meno grandi. Ma il Governo è convinto che non ci siano rischi e continua ad affinare questa ipotesi d’intervento anche sulla base dei suggerimenti arrivati sul tema in primavera da leader della Fiom, Maurizio Landini, ancora prima (nel 2011), da esponenti provenienti dal mondo della Cgil come l’ex segretario Sergio Cofferati e Stefano Patriarca. L’operazione scatterebbe solo su base volontaria e potrebbe essere a tempo: dal minimo di un anno a un massimo di tre anni. Ma su questo punto potrebbe esserci un ripensamento.
Oltre al nodo della liquidità da garantire alle imprese restano da sciogliere quello delle ulteriori compensazioni per le aziende, del regime fiscale cui sottoporre la liquidazione inserita direttamente in busta paga, e soprattutto la fetta di Tfr da smobilizzare per provare a rilanciare i consumi. Su quest’ultimo fronte tre sono attualmente le opzioni sul tappeto: destinazione del 50%, o del 75%, del Tfr maturando nello stipendio lasciandone l’altra metà a disposizione delle imprese; dirottamento di tutta liquidazione maturata a partire dal 2015 sullo stipendio.
L’operazione in prima battuta interesserebbe solo i lavoratori del settore privato. E alle imprese dovrebbe essere garantito quanto meno lo stesso meccanismo fiscale agevolato previsto attualmente nei casi di destinazione del Tfr ai fondi pensione. Resta da capire come l’intervento potrà essere esteso gli "statali" per i quali la liquidazione è di fatto figurativa.
Sempre sul terreno fiscale si presenta l’altro grande ostacolo da superare. Renzi ha esplicitamente fatto riferimento a un’erogazione mensile del Tfr in busta paga. In questo caso le liquidazione verrebbe sottoposta a un prelievo fiscale maggiore rispetto alla "tassazione sperata" che è attualmente prevista. Non è da escludere, quindi, che si possa ricorrere a uno smobilizzo in un’unica soluzione annuale, una sorta di quattordicesima.

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TFR IN BUSTA PAGA, 75 EURO DI PIU’ AL MESE - MICHELE DI BRANCO, IL MESSAGGERO 30/9/2014 -
Il Tfr in busta paga «per consentire un ulteriore scatto del potere d’acquisto». Prende corpo il progetto anticipato da Matteo Renzi due giorni fa in Tv da Fabio Fazio. Il premier ci è tornato sopra ieri durante la direzione del Pd. Un breve accenno. Ma sufficiente per confermare che il piano c’è e che scatterà a patto che decolli «un protocollo tra Abi, Confindustria e governo». Un’intesa indispensabile perchè Palazzo Chigi è consapevole che l’operazione farebbe mancare una montagna di miliardi oggi utilizzati dalle imprese per le proprie esigenze di cassa. Soldi che dovrebbero essere coperti escogitando una qualche soluzione finanziaria. La strategia, comunque, è chiara: garantire liquidità agli italiani attraverso una sorta di bonus da 80 euro 2.0. Ecco in cosa potrebbe tradursi per qualche milione di italiani(per ora solo i dipendenti di aziende private) il Tfr scongelato che confluisce nelle buste paga. Se andrà a finire come Matteo Renzi progetta, i calcoli sono presto fatti. Dalle dichiarazioni di 16 milioni di contribuenti dipendenti risulta che la retribuzione lorda media è di 19.750 euro. Che al netto diventano 14.870. Questi lavoratori, che già godono del bonus fiscale, a fine mese portano a casa poco più di 1.200 euro. Mentre l’azienda, o l’Inps, trattengono 104 euro di trattamento di fine rapporto: vale a dire il 7,41% del salario lordo. Nel caso in cui la riforma immaginata da Palazzo Chigi diventasse realtà, quei soldi irrobustirebbero lo stipendio di altri 75 euro euro. E cioè quel che resta dopo aver imposto un’aliquota Irpef del 26%. Ovviamente, le cose andrebbero in maniera differente se si dedidesse di inserire solo il 50% del Tfr in busta paga lasciando il resto nelle casse del sostituto d’imposta o della previdenza statale. In quel caso, lo stipendio netto medio degli italiani subirebbe un’accelerazione limitata a 40 euro mensili. Un mini bonus. E’ chiaro che, al crescere del reddito, il beneficio sale. Così, con una retribuzione lorda di 31 mila euro (1.700 euro netti la mese) il Tfr per intero sul cedolino porta a guadagnare un centinaio di euro in più.
LE INCOGNITE
Ma la vera domanda è: la riforma sarebbe conveniente per i lavoratori? Scherzando ci si potrebbe chiedere se è meglio un uovo oggi o una gallina domani. Infatti è evidente che nell’immediato la disponibilità del Tfr fa crescere il reddito (si parla di una iniezione di 21,6 miliardi per le tasche dei lavoratori) ma bisogna ricordare che la logica dell’accantonamento serve a garantire una protezione futura quando il rapporto di lavoro finisce. Inoltre, senza correttivi all’attuale struttura, il rischio è quello di prendere dei soldi oggi rinunciando a maggiori benefici domani. E questo perchè il denaro che il lavoratore lascia nelle casse dell’azienda (o dell’Inps se si ha un contratto con una struttura con più di 50 dipendenti) subisce una crescita annuale prodotta da un interesse medio dell’1,5% al quale si aggiunge la rivalutazione del 75% del tasso d’inflazione. In pratica nel giro di 10 anni il Tfr può rivalutarsi del 15-20% polverizzando il vantaggio di un incasso immediato. Come mostra, ad esempio, la busta paga di un lavoratore assunto nel 2003 (retribuzione lorda: 4.100 euro) che nel corso di 11 anni ha maturato 37.432 euro di accantonamenti. Se in questi anni avesse incassato il Tfr ogni mese ci avrebbe rimesso 3 mila euro. E’ chiaro che questi ragionamenti devono tenere conto di troppe variabili al momento sconosciute. E infatti la reazione del mondo imprenditoriale è fredda. Alle forte preoccupazione che filtra da Confindustria si è aggiunto ieri il secco no di Rete Imprese Italia. «In questa fase di perduranti difficoltà per il sistema produttivo - ha osservato il presidente Giorgio Meletti - è impensabile che le Piccole e medie imprese possano sostenere ulteriori sforzi finanziari come quello di anticipare mensilmente parte del Tfr ai dipendenti».
Michele Di Branco

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TFR IN BUSTA PAGA, RISCHIO RAPINA - SALVATORE CANNAVO’, IL FATTO QUOTIDIANO -
Confindustria stima l’ammontare delle risorse disponibili in 22-23 miliardi di euro. Se a Matteo Renzi riesce l’operazione di modificare il Trattamento di fine rapporto (Tfr), l’impatto complessivo sull’economia può essere importante. Altrettanto, però, quello sulle tasche dei lavoratori che, nell’immediato, si vedrebbero aumentare la busta paga ma in prospettiva perderebbero un istituto importante come la liquidazione.
L’idea di trasferire il Tfr nel salario mensile era stata anticipata una settimana fa dal Sole 24 Ore ed è stata ribadita ieri da Renzi alla direzione del Pd. Un’idea solo abbozzata di cui non si conoscono le modalità precise, ma che potrebbe basarsi su questo schema: si prende il flusso annuo attuale, i 22 miliardi appunto – senza quindi toccare lo stock accumulato storicamente che non può essere modificato – e se ne mette il 50% in busta paga. “Si tratta di andare nella direzione di aumentare il salario, stimolare i consumi”, dice Renzi, e si aggiungerebbe così agli 80 euro già elargiti dal governo. Quindi un sostegno misurabile in mezzo stipendio mensile all’anno. Ma cosa accadrebbe all’altro 50% che resta nelle disponibilità delle imprese? Renzi non lo ha detto.
Occorre ricordare che che già oggi, con la riforma del 2007, nelle imprese sopra i 50 dipendenti, il Tfr viene spostato, previo consenso del lavoratore, ai fondi pensione e comunque le imprese lo devono versare, qualunque sia la scelta del dipendente, in un apposito fondo presso la tesoreria Inps. Sotto quella soglia, invece, resta in vigore la gestione di questa preziosa liquidità, che è salario differito, da parte delle aziende. Metterlo in busta paga rischia però di essere un onere che le imprese più piccole non possono permettersi. E infatti ReteImprese, che rappresenta le categorie del terziario, del commercio e dell’artigianato, dichiara che “in questa fase di perduranti difficoltà per il nostro sistema produttivo, è impensabile che le piccole imprese possano sostenere ulteriori sforzi finanziari”. Il Tfr, infatti, viene utilizzato storicamente come liquidità delle aziende che, per il “servizio” devono corrispondere ai propri dipendenti un tasso annuo dell’1,5% maggiorato del 75% dell’andamento dell’inflazione. A tassi attuali si tratta di poco più del 3%, un costo impensabile presso le banche.
A questa obiezione Renzi ha già risposto ipotizzando un accordo con l’associazione delle banche, l’Abi, per garantire la liquidità necessaria, anche utilizzando le recenti misure predisposte dalla Bce. Resta però il mistero su cosa succederà al restante 50% che potrebbe restare in azienda.
In Confindustria si ipotizza che quella quota possa servire a ridurre il costo del lavoro, quindi a finire nelle casse delle aziende. Una eventualità che rappresenterebbe una vera e propria sottrazione di risorse più o meno indebita. Nel sindacato, si teme infine un altro rischio: quello che la corresponsione del Tfr venga pian piano assorbita da mancati aumenti contrattuali. In questo modo resterebbe la semplice soppressione della liquidazione.

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CON IL TFR IN BUSTA PAGA MEZZO STIPENDIO IN PIù’ IN UN ANNO - MARCO SODANO, LA STAMPA 30/9/2014
Il governo pensa di anticipare parte del Tfr in busta paga: quanto può valere?
Il Tfr (il trattamento di fine rapporto) accumulato equivale alla retribuzione annua divisa per 13,5. Si tratta, insomma, di una mensilità. Si è parlato di anticipare il 50% del Tfr maturato per un periodo di un anno almeno (valutando anche l’ipotesi di estendere l’anticipo per tre anni), mentre non è ancora chiaro se il governo ha intenzione di metterlo in busta spalmato sulle tredici mensilità oppure in una volta sola. Comunque sia, si tratta di una cifra che equivale grosso modo a metà dello stipendio.
Le imprese non sembrano entusiaste: perché?
Perché parte di quel denaro lo custodiscono loro e dovrebbero sborsarlo subito. Nelle pmi sotto i cinquanta dipendenti, il Tfr di chi non ha scelto un fondo pensione dopo la riforma del 2006 (ovvero la maggior parte dei lavoratori italiani) resta in azienda. Le imprese usano questo denaro per finanziarsi. L’ammontare totale annuo accumulato dagli italiani vale circa 24 miliardi (su 326 miliardi di retribuzioni). Di questi il 40% matura nelle pmi, 10,8 miliardi. Tornando all’ipotesi di mettere in busta metà della liquidazione, nelle casse - già esauste - delle piccole imprese si creerebbe un buco da 5 miliardi e mezzo. Così, se il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi è freddo e parla di «manovra molto complessa», le piccole imprese parlano di misura «impensabile. Per i lavoratori - ricorda il presidente di Rete Imprese Merletti - il Tfr è salario differito, per le imprese debito a lunga scadenza. Non si possono chiamare le imprese ad indebitarsi per sostenere i consumi dei propri dipendenti». Tanto più in un momento in cui ottenere credito è sempre meno facile.
Il premier ha parlato di usare i soldi della Bce per garantire il credito, però.
Vero: la liquidità garantita dalla Banca centrale europea deve andare alle imprese per definizione, un impiego del genere rispetterebbe lo spirito delle iniezioni decise dall’Eurotower. Bisognerà poi vedere, però, se il credito verrà concesso alle singole imprese, che andranno a chiedere il denaro in banca: visto com’è andata negli ultimi anni è legittimo che gli imprenditori abbiano qualche dubbio sugli strumenti che dovrebbero sconfiggere il credit crunch. Fino ad oggi hanno fallito tutti, nonostante ci abbiano provato in mezzo mondo.
Non è la prima volta che si parla di un anticipo del Tfr. Poi non se ne fece nulla: perché?
Nell’agosto del 2011 fu l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti sondò questa possibilità. Alla fine fu scartata perché troppo complicata: come fare con chi versa il Tfr in un fondo complementare per irrobustire la pensione? E gli Statali? Nel pubblico impiego chi è stato assunto prima del 2001 non riceve il Tfr ma il Tfs (trattamento di fine servizio): l’80% dell’ultima retribuzione moltiplicato per gli anni di servizio. Fino al pensionamento non è possibile sapere quanti soldi ha diritto di ricevere ogni lavoratore.
E i lavoratori? È un affare ricevere il Tfr in anticipo?
Dal 2007 - grazie a una riforma molto discussa - i lavoratori possono scegliere di non accumulare più il Tfr in azienda e di farlo confluire nei fondi pensione. Questo perché il passaggio dal sistema pensionistico retributivo (pensione calcolata sull’ultimo stipendio) a quello contributivo (calcolata su quanto accantonato nel corso della vita lavorativa), è diventato chiaro che chi è al lavoro adesso avrà pensioni molto più basse di quelle attuali: ai fondi toccherà il compito di integrare gli assegni. Un po’ di denaro disponibile subito fa comodo: ma bisogna avere ben chiaro che quei soldi non ci saranno più al momento del pensionamento. Insomma: non sono soldi in più, sono soldi in anticipo. Finiremmo con lo spendere oggi le ricchezze di cui dovremmo disporre domani: è lo stesso meccanismo del tanto vituperato debito.
Ma questi soldi in più come sarebbero tassati?
Anche qui per ora non è chiaro il meccanismo pensato dal governo: al ministero chiariscono che «non c’è ancora un piano». Sul Tfr si paga un’aliquota fiscale agevolata, più bassa di quella normale pagata sul reddito (sullo stipendio). Sull’anticipo si rischia di pagare di più: non è un affare. Tra l’altro non sarebbe neppure corretto pagare su questo denaro - che è frutto di un accumulo a scopo previdenziale - la parte di tasse che va alla previdenza.