Mirella Serri, TuttoLibri - La Stampa 20/9/2014, 20 settembre 2014
«OVIDIO, LA FAVOLE DELL’ADOLESCENZA»
Due anni intensi, appassionati, eccitanti. E’ stato uno dei lavori più piacevoli della mia vita. L’esperienza di correre dietro a questa lingua latina così precisa e barocca, sensuale e tragica, che però non si prende mai completamente sul serio, è stata travolgente».
Ha l’entusiasmo contagioso di un ragazzino quando parla della sua fatica di traduttore uno dei maggiori interpreti del mondo classico, Vittorio Sermonti, 85 anni il 26 settembre, narratore, regista, attore, docente all’Accademia nazionale d’arte drammatica nonché celebre «the voice» della letteratura italiana (per anni ha affollato e conquistato le piazze d’Italia leggendo Dante e Virgilio).
E non c’è dubbio: lo studioso di Dante i dodicimila esametri de Le metamorfosi di Ovidio (Rizzoli, € 21, pp. 846), li ha macinati con il passo allegro di un ventenne. Muovendosi con nonchalance e leggerezza, tra dramma e ironia, ne ha sviscerato i significati più remoti e ha riportato in vita il poema con linguaggio molto attuale e calato nel presente.
Sermonti, con la sua traduzione-interpretazione lei ci fa capire che i riti e i miti di Ovidio - Narciso perso nell’attrazione per se stesso, Aracne punita per la superbia, Dafne oggetto di bramosia per Apollo, Mirra innamorata di suo padre - sono oggi più che mai vivi e operanti tra noi. E’ cosi?
«Narciso è un fanciullo attraente, figlio di un fiume e di una ninfa, che, specchiandosi nell’acqua di un laghetto, viene catturato dalla propria immagine; ma oggi Narciso è anche una categoria clinica ed è pure il nome di un fiore. Il poema di Ovidio è l’opera che meglio rappresenta l’età evolutiva, le mutazioni, la labilità e l’insicurezza che contraddistinguono i più giovani, il cui corpo non fa che cambiare sotto i loro stessi occhi».
Le metamorfosi sono destinate a un lettore-ragazzo?
«Ovidio trasforma in favola tutto ciò che un adolescente elabora e nasconde. Parla di parricidi, stupri, incesti, libido. Racconta di situazioni ed eventi che toccano da vicino la fantasia dei ragazzi: così, per esempio, la masturbazione giovanile è uno stupro timido e solitario compiuto magari di fronte a un ritratto, a una fotografia di qualcuno che non ti desidera e che nemmeno ti conosce. Il tema della metamorfosi è poi un repertorio fondamentale nell’immaginario occidentale e ha alimentato tutta una splendida produzione di Bernini, Caravaggio, Poussin, Guido Reni. Attualmente ben raffigura le incertezze, la precarietà di un’epoca di crisi come questa in cui viviamo».
Lei si è dichiarato un «bibliodipendente mai pentito». Legge il poeta latino in coincidenza con l’avvio del commento dantesco, poiché l’opera di Ovidio ne è il laboratorio, il luogo a cui Dante attinge abbondantemente per la Commedia? In questa catena di libri, l’interesse per Dante quando inizia?
«Risale a tempi lontani, quando avevo circa dieci anni e mio padre, toscano di origine, mi leggeva a voce praticamente tutta la Commedia. Però coltivavo con grande determinazione anche tanti personali momenti di lettura. Non solo Emilio Salgari, che era l’autore più diffuso tra i coetanei, ma anche Luigi Pirandello, cugino di secondo grado di mia nonna. Il primo approdo a Pirandello sono state le sue novelle. Il teatro delle maschere è arrivato successivamente. Quando mi presento all’esame di maturità a Roma, come allievo del Convitto nazionale, so parecchio di quel compìto personaggio che ricordavo in visita nella casa romana dei nonni per gli auguri di Natale. Più dei docenti pronti a interrogarmi. Dopo avermi ascoltato per una ventina di minuti, i professori entusiasti mi mettono dieci. Però avevo come riferimento anche altri scrittori, in quinta ginnasio traduco in versi Guglielmo Tell di Friedrich Schiller e mi conquisto un altro dieci, questa volta in tedesco. Guerra e pace è stato un libro da cui non riuscivo a staccarmi. Fin da ragazzo sentivo il fascino della recitazione, da William Shakespeare a Vittorio Alfieri. Uno dei miei autori di riferimento era Aleksandr Sergeevic Puškin con i poemi e il teatro, da Boris Godunov a Evgenij Onegin a Mozart e Salieri».
Tutto cambia radicalmente?
«Non c’è dubbio. Con la famiglia ci trasferiamo a Milano. Una delle immagini indelebili è via Manzoni tutta sdentata, dove si alternavano gli edifici rasi al suolo e quelli bombardati e non ancora caduti. Sto cercando di scrivere un libro dedicato a quell’esperienza, di ripescare le sensazioni di un ragazzino che faceva il conteggio delle persone scomparse e registrava che a Brescia ce n’erano state 120 e 800 a Torino. Vivevo la mia adolescenza mentre si accumulavano 60 milioni di morti. All’epoca nutrivo una qualche insofferenza per la cultura fascista ma contemporaneamente ne ero dipendente. Non solo per via dei giornali di regime ma ero anche suggestionato dagli autori che andavano per la maggiore, come Friedrich Nietzsche».
Nel dopoguerra?
«Entro alla Rai da cui poi mi licenzio pur continuando a collaborare sia come regista che come autore. Ho la fortuna di incontrare personaggi d’eccezione, da Roberto Longhi a Carlo Emilio Gadda. Quest’ultimo connotato da una personalità che difficilmente si dimentica. Capace di sfuriate terribili, molto misogino. Ma ce l’aveva anche con Ugo Foscolo per il tono enfatico della sua poesia, per il “maschiottismo”, ovvero per l’ostentazione della virilità la cui condanna e denigrazione darà poi vita a quel capolavoro di Gadda che è Eros e Priapo. Questa è stata l’opera veramente capace di mettere alla berlina il fascismo e le ossessioni del gallismo. Continuo poi a dedicarmi alle traduzioni e, in quegli anni, un posto di rilievo lo occupava Brecht che mi calamitava sia con le sue doti di semplificazione ideologica ma anche con le capacità di grande scrittore. Ma erano pure importanti Sartre, Wedekind, von Hofmannsthal».
Nel bicentenario leopardiano ha scritto un libretto d’opera; nel centenario di Giuseppe Verdi alcuni racconti estratti dalle partiture verdiane.
«Da ragazzo suonavo il pianoforte, strumento da cui ricavavo ben poca soddisfazione. Però forse avrei potuto dedicarmi al violoncello. Ascolto molta musica ma non mi piace andare ai concerti. Ma la cosa che mi attira di più è la musica della letteratura. Ovvero la metrica: ritengo di essere uno dei massimi esperti».