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 2014  settembre 28 Domenica calendario

SPECULAZIONI, SPRECHI E RITARDI: IL GRANDE BLUFF DI METRO C

La metro C di Roma da grande opera nazionale è divenuta un trattato antropologico, un vademecum dei vizi e delle furberie italiane, manuale di studio e illustrazione di quante competenze si debbano unire per far sì che un cantiere, destinato a durare dieci anni, proietti verso i trenta la sua vita artificiale e, grazie all’accumulo dei ritardi, si riempia di una quantità di extra costi da trasformare l’opera nella edizione straordinaria di un magna magna stratosferico. La cifra iniziale di tre miliardi di euro, stimata per la tratta, si è spinta infatti al raddoppio tattico, quindi all’ipotetico traguardo (sempre pro tempore) dei sei miliardi tondi.
Sei miliardi per collegare il nulla al nulla
Il prossimo 11 ottobre Roma avrà però finalmente la sua terza linea metropolitana. Dopo la A e la B, il verde speranza della C. La linea verde serve a recuperare le periferie dell’est, i punti urbani che uniscono il centro, cioè piazza San Giovanni, a Pantano, primo presidio dei Castelli, attraversando le borgate più difficili e criminali delle torri: Torre Angela, Torre Maura, Tor Bella Monaca soprattutto.
Dopo 24 anni dall’idea progettuale quel che parte è una miserabile coast to coast delle periferie. Si unisce il nulla al nulla. Un punto di sbarco a un altro punto di sbarco. Sono centri che non hanno interessi comuni né sviluppi di traffico autonomo. Chi prende la metro a Pantano non ha intenzione di scendere a Centocelle. “Lo so, è una cretinata da un punto di vista trasportistico, perché l’apertura parziale ci imporrà di colmare il tragitto verso il centro con bus che naturalmente costano e pesano sul già dissestato bilancio dell’Atac, ma era l’unica possibilità che avevamo di smuovere le acque, mettere il general contractor davanti alle sue responsabilità e soprattutto dare l’idea che questo è un cantiere che deve finire. Perché, nei fatti, non esisteva più data di ultimazione. Si andava avanti per inerzia”. Chi parla è Guido Improta, assessore alla Mobilità della Capitale, che ha avuto in eredità la gestione di questa spaventosa catena di inefficienze.
Dovevano regalare a Giovani Paolo II in occasione del Giubileo del Duemila la metropolitana a San Pietro. Sedici anni di parole e progetti, poi la gara vinta nel 2006 da una associazione di imprese formata dall’Astaldi, dalla Vianini (gruppo Caltagirone), dalla Lega Coop: 3.047 milioni di euro a base d’asta per collegare il Colosseo, non più San Pietro, a Montecompatri. Ribasso di 360 milioni e aggiudicazione. “La legge obiettivo – dice Improta – pensa che gli italiani siano inglesi. Sia lì che qui il general contractor è il progettista e l’esecutore dell’opera. Ma lì i soldi ce li mette chi esegue, qui li riceve dallo Stato. E da noi fare presto e bene il lavoro è solo una delle possibilità offerta al concessionario”. L’altra è quella di affidare alle sorprese geologiche o archeologiche, alle successive varianti in corso d’opera, un cantiere parallelo, una vita parallela, una vertenza permanente.
Ricorsi e azzeccagarbugli per una pace da 370 milioni
Infatti un contenzioso monumentale quanto il Colosseo è stato aperto nel 2008 e ad oggi ha succhiato 692 milioni di euro. Arbitri, avvocati, varianti, altre varianti. Blocco lavori, apertura lavori, riblocco, eccetera. La melina giudiziaria, il confronto tattico tra commi e cavilli ha trasformato la metro C in una betoniera di euro impastati e scaricati nei conti correnti dei contraenti. Roma Metropolitane, la società del Comune che doveva governare il progetto e il processo, si è trasformata in una formidabile macchina appaltatrice di pareri: “Ci inondavano di carte, una cortina fumogena permanente che ha impedito al Comune di vedere dove stava l’inghippo”, dice l’assessore. Ha impedito al Comune? La Corte dei conti ha tre indagini aperte, e la procura sta per avviarne una quarta. Impedire è il verbo giusto? O piuttosto troppi occhi socchiusi hanno favorito, agevolato, adeguato il ritmo del magna magna a un martello pneumatico?
Fatto è che la giunta di Ignazio Marino ha tagliato la testa a Roma Metropolitana ma è stata obbligata a chiudere un accordo tombale con Metro C: con 368,6 milioni di euro è stata acquietata la fame di varianti e gli ultimi extracosti che il general contractor valutava in 1,3 miliardi di euro.
La pace è servita a far sì che il cantiere eterno avesse una fine possibile, un orizzonte terreno. E il prossimo 11 ottobre scopriremo quel che sappiamo già ora. La metro corre per un lungo tratto in parallelo alle ferrovie laziali. “Sono scelte relazionali del progetto”, dice l’assessore. Significa che le lobby si son fatte sentire e hanno deviato, corretto, definito linee di penetrazione che paiono illogiche. Vianini è di proprietà di Caltagirone, che a Roma concentra il suo potere di immobiliarista e lo fa avanzare attraverso i mille canali della sua attività imprenditoriale. Le vie di espansione urbanistica nella Capitale coincidono assai spesso (troppo spesso) con gli investimenti e gli affari di Caltagirone. La metro C è il viatico per bissare domani le fortune di oggi? Si costruirà nei terreni ora vergini che il trenino attraverserà? E chi beneficierà delle rivalutazioni catastali?
Nessun conducente ma 300 possibili guasti
Saliamo sul treno. Stazione di Centocelle, la provvisoria fermata finale in attesa che San Giovanni (2015?) , il Colosseo (2020?) e piazza Venezia (ancora non si sa se sarà capolinea o no) saranno raggiunte, è una costruzione perfetta, tanto travertino, scale mobili, aree attrezzate di sosta e di transito. Il treno è senza conducente, perché il sistema scelto è del controllo remoto, dell’automazione totale. Driverless, scelta rischiosa e costosa: “Avremo più costi di elettricità, più fatturato per Acea (partecipata da Caltagirone) e più rischi che il software, che non ha dato buona prova dov’è in funzione (Copenaghen, Brescia), faccia i capricci anche a Roma”, conclude Improta, che è in procinto di salutare tutti e trasferirsi tra qualche settimana alla guida dell’Enav.
All’inizio erano 108mila i segnali di possibili guasti a cui la metro C poteva essere soggetta. Col tempo questa quantità mostruosa di imperfezioni è stata ridotta per ogni corsa a circa trecento possibili crisi quotidiane. Trecento volte, per trecento motivi diversi, il treno si potrà fermare prima che i passeggeri arrivino alle scale mobili. Ci sono tredici giorni soltanto per ridurre a zero gli stop ordinati dal computer. Freme l’attività, sale l’ansia ma anche il timore che questo treno possa divenire un altro somministratore quotidiano di accidenti, un generatore di problemi invece che di soluzioni, una perfetta macchina di complicazione della vita.
Antonello Caporale, il Fatto Quotidiano 28/9/2014