Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 28 Domenica calendario

SCARPINATO E LA GUERRA DEI ROS

Palermo
Da Gelli a Pecorelli, dal Sid di Ma-letti e Miceli alle omissioni e ai depistaggi della stagione delle stragi, il nuovo profilo di Mario Mori tracciato nella memoria di Roberto Scarpinato e proiettato, di fatto, al centro dei “sistemi criminali” della stagione stragista segna l’approdo “ai materassi” di un ventennio di contrapposizioni e ruggini tra la Procura in cerca della verità sulle stragi del ’92 e il Ros dei carabinieri, iniziato la mattina del 15 gennaio del ’93 quando l’allora pm Luigi Patronaggio, diretto in via Bernini a perquisire il covo di Riina, appena catturato, lanciò a terra il suo cellulare per la rabbia, sulla soglia del Palazzo di giustizia, dopo avere ricevuto la telefonata del procuratore Caselli che lo bloccava, rinviando la perquisizione su richiesta del Ros.
Parte da lì, da quell’episodio definito “uno dei misteri italiani” dal procuratore generale Vincenzo Rovello, che inviò al Csm due relazioni “di fuoco” sull’operato dei carabinieri, una storia ventennale di sospetti e diffidenze tra l’ufficio del pm e il reparto speciale antimafia dell’Arma sullo sfondo delle indagini sui sistemi criminali, che solo quattro anni dopo, nel ’97, si vide sostanzialmente chiudere tutte le porte dalla Procura di Caselli che delegò un solo magistrato a tenere i rapporti con gli investigatori della caserma di via di Ponte Salario, a Roma. Era accaduto che Angelo Sii-no, il ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra, poi pentito , aveva riferito ai pm di avere confidato al capitano De Donno i nomi di militari dell’Arma collusi con Cosa Nostra, tra i quali il maresciallo Lombardo, poi morto suicida, accusato di avere consegnato a Siino il rapporto mafia e appalti. De Donno confermò per nove decimi il racconto di Siino ma pochi giorni dopo andò a Caltanissetta a denunciare alcuni magistrati della Procura responsabili , secondo uno degli imputati di quell’inchiesta, il geometra Giuseppe Lipera, di aver fatto uscire il rapporto.
Nel mirino dell’ufficiale finirono, in particolare, Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato, quest’ultimo autore della richiesta di archiviazione dell’inchiesta mafia e appalti firmata il 13 luglio del ’92 e depositata in cancelleria il 22. Ai giudici De Donno disse di avere incontrato Scarpinato a Roma e di averlo informato delle nuove rivelazioni di Lipera affinché ne informasse Borsellino, ma nell’ordinanza di archiviazione di querele e controquerele tra pm, De Donno e Siino il gip nisseno Gilda Loforti lo smentì, visto che l’incontro avvenne dopo la strage di via D’Amelio: “È da ritenere che il De Donno sia, verosimilmente, incorso, a distanza di così lungo tempo, in un vero e proprio errore mnemonico – scrive il gip –, erroneamente ricollegando a un episodio fattuale vero, quale l’incontro a Roma con il detto magistrato, ammesso anche da quest’ultimo, tempi e finalità errate”.
L’anno dopo, il 13 gennaio del 1998, Giovanni Brusca apre a sorpresa il capitolo del “papello”: “Riina mi disse in aula a Firenze al processo delle stragi del ’93 –: ‘Si sono fatti sotto’. Gli ho presentato un papello così”. E ipotizza che Cosa Nostra sia stata “giocata” dai carabinieri: “Con Bellini fu instaurata una trattativa per far andare agli arresti ospedalieri alcuni boss – dice Brusca –, allora non sapevo chi c’era dietro Bellini. Dai verbali ho scoperto che c’erano un maresciallo dell’Arma e il colonnello Mori del Ros”.
Ma proprio nel momento in cui le indagini stanno per approfondire il rapporto tra mafia e apparati alla Procura di Palermo arriva nel 1999 Pietro Grasso. I pm che indagano sul “cuore nero” dello Stato vengono emarginati, la consegna è quella di chiudere tutti i fascicoli più scottanti. Tra lacerazioni, dimissioni e scontri furibondi in Dda la Procura chiede per ben due volte l’archiviazione dell’inchiesta sul covo di Riina, aperta nel ’97 dopo le dichiarazioni del pentito Santino Di Matteo, chiude l’indagine sull’omicidio di Mauro Rostagno, chiede l’archiviazione dell’inchiesta sui sistemi criminali. L’unico politico che inciampa nelle indagini è Totò Cuffaro, la cui vicenda processuale spacca ancora una volta la Procura. Solo nel 2009, le parole incrociate di Brusca e Massimo Ciancimino offrono l’input per l’apertura dell’inchiesta sulla trattativa. Si riparte con sette anni di ritardo, e alla guida della Procura ora c’è Francesco Messineo. E oggi nella memoria depositata da Scarpinato al processo Mori i nomi sono gli stessi, a partire da Bellini, e dai suoi rapporti con Gioè e con il generale Mori, comparsi 16 anni fa nelle carte processuali.
Giuseppe Lo Bianco, il Fatto Quotidiano 28/9/2014