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 2014  settembre 27 Sabato calendario

«LA MADRE DI TUTTE LE INCHIESTE. COSI’ È AFFONDATO GIGGINO ’O FLOP»

È stata la conduzione dell’inchiesta Why Not a portare alla condanna a un anno e tre mesi per Luigi de Magistris e probabilmente, nelle prossime settimane, anche alle sue dimissioni o sospensione dalla carica di sindaco di Napoli. «Why Not» è un’indagine sull’uso illecito di fondi europei, statali e regionali, che ha prodotto centinaia di indagati e si è conclusa con pochi imputati, un numero incredibile di proscioglimenti e la vita di molti innocenti rovinata. Ma Why Not è diventata un «feticcio» nazionale, oltre che per aver coinvolto un premier, Romano Prodi, per due motivi: da un lato l’enorme mole di acquisizione di traffici telefonici, tecnicamente messa in atto da Gioacchino Genchi, consulente informatico di de Magistris e insieme a lui condannato; dall’altro l’aver «controllato» illegalmente, senza l’autorizzazione del Parlamento, alcuni deputati (il motivo della condanna per entrambi). Le cifre sull’ormai famoso «archivio Genchi», spulciato per mesi dagli esperti del Ros dei carabinieri, sono state per molto tempo «mobili». Nel corso delle indagini viene fuori che sono state «schedate» 52 utenze del Csm, 14 della segreteria generale del Quirinale e anche l’ambasciata americana a Roma. Nelle informative del Ros si legge, inoltre, che Genchi aveva chiesto i tabulati di traffico telefonico di utenze riconducibili alla Camera dei deputati, al ministeri della Difesa, dell’Interno, della Giustizia, dell’Economia. E nei tabulati «controllati» c’erano anche i dati di 13 parlamentari. Sempre secondo i militari del Ros, nel cosiddetto archivio Genchi c’erano 13 milioni di intestatari di utenze e 351 milioni di cosiddette righe di traffico telefonico, cioè chiamate. Non solo. Nella relazione del Copasir, il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, sono riportati altri dati raccolti dai militari, ad esempio che nelle indagini Why Not e Poseidone, condotte da de Magistris, Genchi ha «avuto notizia» di 392mila intestatari e 1.402 tabulati. Numeri che diventano abnormi calcolando i cosiddetti "record" richiesti e non elaborati dalle compagnie telefoniche: dalla Telecom, il consulente di de Magistris aveva ottenuto una tranche di 150mila «anagrafiche», mentre 97mila provenivano dalla Tim (Genchi aveva chiesto 300mila record). Quanto alla Wind, le anagrafiche messe a disposizione erano 160mila, e 68mila quelle della H3G. Su Vodafone, Genchi accedeva attraverso il «cervellone» della società con le password di competenza della procura di Marsala. Il numero totale di «record di intestatari anagrafici» finiti, secondo il Ros, nella disponibilità di Genchi, sono circa 578mila. Come detto, ad aver causato la condanna di de Magistris e del suo consulente, è stato il «controllo» (non intercettazione) di alcuni parlamentari, ma la carriera dell’allora pm ha cominciato a prendere una brutta piega a causa delle «anomalie» sui «metodi» utilizzati per indagare, che hanno indotto il Consiglio superiore della magistratura a «condannarlo» con parole definitive. Il Csm «processa» de Magistris per 11 capi d’imputazione riguardanti le sue inchieste più famose e delicate, Why Not compresa. Per sei di essi viene condannato. A sostenere l’accusa sui «peccati giudiziari» di de Magistris è il sostituto procuratore generale della Cassazione, Vito D’Ambrosio, che per descrivere l’allora pm usa queste parole: «Reagisce ai comportamenti dei dirigenti dell’ufficio con strumenti del tutto estranei agli strumenti del processo (...). Utilizza in modo arbitrario dati assolutamente non pertinenti al tema delle indagini, violando la privacy di soggetti terzi (...). Adotta comportamenti sleali nei confronti di colleghi co-assegnatari di alcuni procedimenti (...). Trascura l’osservanza dei termini sia nelle indagini sia in tema di libertà personale (...)». Ed è lo stesso procuratore generale ad affermare che de Magistris è un magistrato che «mantiene rapporti con i mezzi d’informazione del tutto anomali, usando i suoi rapporti privilegiati per fare pubblicità a se stesso e alla sua attività professionale». Uno dei capi d’imputazione che sarà accolto dal Csm riguarda, poi, un’indagine avviata nei confronti di due indagati la cui «iscrizione» non va a finire, come la legge prevede, nel registro degli indagati, ma su un normale foglio di carta.
Luca Rocca