Gianni Mura, la Repubblica 28/9/2014, 28 settembre 2014
L’ITALIA DIETRO TONGA NEL RANKING DEI DIRIGENTI
È uno di quei giorni che (in cui, meglio) mi tocca chiedere scusa al lettore. Speravo di non occuparmi ancora di Claudio Lotito, dopo essermene occupato ogni domenica da quando è ricominciata questa rubrica. Perché una rubrica deve essere variata, un po’ come il menù in una trattoria.
Ma non è colpa mia se ogni volta che apre bocca Lotito ne combina una. Dev’essere il nuovo corso federale. Intanto, fonti autorevoli smentiscono che Lotito abbia chiesto all’anagrafe di cancellare dal nome Clau. Forse gli basterebbe che si cancellasse Claud, un po’ perché in inglese suona come nuvola, e Lotito è per il sereno (stai sereno, Tavecchio), un po’ perché si risparmiano cinque lettere, un po’ per compiacere il suo ego. L’ego di Lotito sta talmente in alto che per raggiungerlo lui deve prendere una teleferica, ma questi sono dettagli. La realtà, più volte da lui stesso sbandierata, è che accetta il dialogo solo tra pari grado. Roba che nemmeno nell’esercito sabaudo o, due secoli fa, nelle piantagioni di cotone dell’Alabama, ma questo è il nuovo che avanza. È un top manager, Lotito, mica il marchese del Grillo. E venerdì, alla riunione di Lega, dove si presume che tutti abbiano titolo (anagramma di Lotito) per parlare, ha rimbeccato duramente Marotta, umile amministratore delegato, che osava interloquire. Rimbeccandolo, Lotito si è beccato la replica di Agnelli (presidente, lui): Sei tu che devi stare zitto quando parla Marotta. Tra i presenti, presente e muto, dettaglio non trascurabile, Beretta, che è presidente di Lega e anche vicepresidente vicario della Federcalcio. Sembrava finita lì, ma dopo la riunione Lotito ha fatto un commento sgradevole sugli occhi di Marotta, non rispondenti a un canone di perfezione. Buon per Leopardi, che è morto da un bel po’, e pure per Andreotti, che è morto da meno.
Perché anche una battuta cretina mostra il livello culturale (parola grossa) del gruppo che guida (parola ancora più grossa) il calcio italiano. Dai mangiabanane agli occhi storti. Bingo. Si facesse il ranking sui dirigenti, non solo sui risultati delle squadre, l’Italia starebbe dietro alle Tonga. Par di sentirli, una volta chiuso con generale soddisfazione il capitolo sui diritti televisivi. La sai l’ultima sui negri? No, raccontamela, poi te ne dico una carina sui froci. Sic stantibus rebus, come direbbe Lotito, uno si chiede: ma questi qui ogni tanto parlano seriamente di come riportare le famiglie agli stadi, oppure di un patto d’onore (ennesima parola grossa) per limitare l’ingaggio di calciatori stranieri? All’inizio di Lazio-Udinese gli italiani erano tre su ventidue. Oppure, tanto per dire, invece di chiedere il «pitigrì» ai calciatori extracomunitari, perché Tavecchio non assume informazioni sui presidenti comunitari? Ecco un aiutino: un signore che ha alle spalle fallimenti di club e che è stato condannato per aver comprato una partita, non per sentito dire ma per visto dare, può ancora fare il presidente di una squadra di calcio? Nel resto del mondo non credo, in Italia si può. Come mai?