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 2014  settembre 28 Domenica calendario

Fenomeni noti da millenni ma dimenticati per incuria Solo recinzioni e avvisi possono evitare sciagure Mario Tozzi Come è possibile che un fenomeno naturale noto da millenni, in un luogo tradizionalmente visitato da secoli e meta di oltre diecimila persone all’anno, possa uscire così fuori dal controllo e addirittura uccidere? È questa la domanda più importante che possiamo porci quando osserviamo sconcertati le immagini della tragedia delle Macalube d’Aragona, sito noto da prima dei romani e teatro di un fenomeno geologico relativamente raro che prende il nome di vulcanismo sedimentario

Fenomeni noti da millenni ma dimenticati per incuria Solo recinzioni e avvisi possono evitare sciagure Mario Tozzi Come è possibile che un fenomeno naturale noto da millenni, in un luogo tradizionalmente visitato da secoli e meta di oltre diecimila persone all’anno, possa uscire così fuori dal controllo e addirittura uccidere? È questa la domanda più importante che possiamo porci quando osserviamo sconcertati le immagini della tragedia delle Macalube d’Aragona, sito noto da prima dei romani e teatro di un fenomeno geologico relativamente raro che prende il nome di vulcanismo sedimentario. E già qui siamo in presenza di una stranezza, per non dire di un ossimoro: si tratta di argilla (dunque un sedimento) mista a acque ricche di sali minerali che risale dalle profondità della Terra e affiora con modalità simili a quelle delle lave. Il vettore, qui come nel vulcanismo, è sempre il gas (metano o anidride carbonica o altri) che spinge da sotto fino a trovare una via di fuga per l’eruzione, in questo caso sedimentaria, attraverso fratture e spaccature. Fratture e spaccature che avevano già portato a interdire l’area in passato perché erano cresciute di numero e ampiezza. E che sono uno dei pochi mezzi per riconoscere l’approssimarsi di parossismi come quello di ieri in Sicilia. Per questo è importante tenere sotto controllo costante queste zone che, in Italia, non sono nemmeno così poche. Vulcanelli di fango sono noti in almeno altre tre zone dell’isola e soprattutto in Emilia-Romagna (dove si chiamano salse per via delle quantità di sali convogliate), ma non mancano nelle Marche o in Abruzzo. Recentemente alcuni nuovi vulcanelli di fango sono venuti alla luce vicino l’aeroporto di Fiumicino, destando allarme, ma nel Lazio manifestazioni di questo tipo sono note e frequenti, anche nei pressi dei grandi vulcani ormai quiescenti. In questi siti ci si dovrebbe comportare come dove si manifestano i geyser o le acque termali ad alta temperatura o le fumarole bollenti: zone ben recintate e custodite, cartelli esplicativi chiari del fenomeno e visite esclusivamente guidate. Come si fa a Yellowstone, dove non è che si possa visitare da soli l’«Old Faithful», il vecchio geyser che da secoli erutta fedelmente ogni venti minuti. O come alla Solfatara, dove fenomeni simili (in questo caso, però, di natura vulcanica) vengono giustamente osservati da dietro un recinto. Monitoraggio e limitazioni hanno però bisogno di denaro e stupisce che questo non venga trovato in un sito come le Macalube, il cui nome in arabo significa ribaltamento, perché la risalita di grandi bolle di gas dal sottosuolo porta, appunto, allo sconvolgimento degli strati superficiali di argilla e alla loro fuoriuscita in blocchi che si scompongono e poi colano letteralmente tutto attorno simulando un’eruzione. È vero che si tratta di fenomeni piuttosto rari, ma loro eventuale portata disastrosa era nota da secoli, fino al punto di introdurla nel toponimo. L’Italia è il Paese del rischio naturale a tutte le latitudini e non solo per terremoti, eruzioni, frane, alluvioni e, di recente, anche tornado. Dobbiamo esserne consapevoli e guardare con rispetto e attenzione anche i fenomeni più limitati e apparentemente più innocui. Non possiamo mettere sotto controllo i fenomeni naturali, ma possiamo quasi sempre limitarne gli effetti catastrofici.