Giovanni Caprara, Corriere della Sera 28/9/2014, 28 settembre 2014
SCOPPIO PER VIA DELLA FAGLIA: «MANCAVANO I SENSORI»
La tragica esplosione di un vulcanello nella riserva Macalube ad Aragona-Caldare, vicino ad Agrigento, ha rivelato un aspetto poco noto ma presente nella nostra Penisola martoriata dai costanti movimenti della terra. «Purtroppo l’origine del fenomeno è sempre legata alla pressione esercitata dalla placca africana, la cui azione è causa di numerosi terremoti», spiega Stefano Gresta, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv).
Infatti la spinta da Sud verso Nord ha nell’area siciliana un punto particolarmente critico che oltre ai sismi provoca fuoriuscite di fango e gas. Sono diverse le zone dell’isola segnate dai vulcanelli alti qualche metro e capaci di eruttare melma e prodotti gassosi di diversa natura. Sono però le località di Agrigento e Caltanissetta a manifestare una maggiore attività.
«Nelle profondità esistono delle faglie, cioè fratture che consentono la fuoriuscita dell’acqua calda che risalendo in superficie trascina vari materiali», precisa Gresta. «Di solito — aggiunge — dura pochi minuti e invece in questo caso si è protratta per circa mezz’ora».
Assieme sono stati proiettati nell’aria getti di metano, anidride carbonica ed elio. Tutto accade in modo improvviso e solitamente la colata dei sedimenti è di modeste dimensioni estendendosi per qualche decina di metri.
I vulcanelli di fango nati migliaia di anni fa sono una manifestazione che ha attratto talvolta gli storici. Anche Plinio il Vecchio ne parla con interesse. Oltre che in Sicilia si trovano in Calabria, Campania, Abruzzo, Lazio, Marche meridionali e in Emilia Romagna dove soprattutto a Mirano talvolta fanno notizia. «Il guaio è che negli ultimi anni si è notata un’intensificazione del fenomeno — sottolinea il presidente dell’Ingv — ma purtroppo finora non si è potuto fare molto. L’unica maniera per riuscire a cogliere segnali sarebbe quella di verificare eventuali microsismi a livello locale. Il nostro Istituto aveva proposto l’installazione di una rete di strumenti. Purtroppo non s’è fatto molto per l’inadeguatezza dei finanziamenti. Per questo la zona dove è avvenuto il disastro non è monitorata. Noi non possiamo prevedere quando il fenomeno si verificherà nuovamente. Di sicuro una maggiore raccolta di informazioni ci consentirebbe di conoscere meglio la situazione e capire come comportarci nei confronti della popolazione».
Molti vulcanelli sono lontani dai centri abitati: le loro deboli e contenute eruzioni spesso passano nel silenzio senza provocare danni. In alcuni casi si è pure immaginato di sfruttare il calore che ne consegue per impieghi civili nelle abitazioni. In altre aree la situazione si sviluppa in modo diverso, anche se con manifestazioni all’apparenza analoghe, senza presentare rilievi o piccoli coni. Nell’area di Fiumicino, ad esempio, non emerge il fango; solo getti di gas come l’anidride carbonica.
La geologia della Penisola è un mondo complesso: non esistono soltanto i violenti terremoti. «Per questo — conclude Gresta — un maggiore impegno nella ricerca ci permetterà di difenderci».
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