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 2014  settembre 28 Domenica calendario

IL CAPITALISTA GURU DELL’AZIENDA MITO, GIOVANE, SMART E PIENA DI OMBRE

L’indirizzo è 92esima e Lexington, all’estremità opposta di Manhattan rispetto a Chelsea dove Google ha la sua sede newyorchese. L’auditorium del centro 92Y è strapieno, per lo più giovani. Le star della serata sono due: Eric Schmidt, chief executive di Google, e il popolarissimo autore/attore di satira televisiva Stephen Colbert. Nel suo Colbert Report, ha inventato una parodia della destra americana così raffinata che uno spettatore ignaro non distingue la fiction dalla realtà. Dunque gli ingredienti ci sono per una serata di fuochi d’artificio: Colbert versus un Padrone della Rete, uno dei più potenti capitalisti del nostro tempo. Qualche domanda puntuta c’è, soprattutto sulla privacy violata, i contratti capestro per accedere ai social media. Ma nell’insieme la serata prende una piega molto amichevole. Colbert, che può essere di una cattiveria acuminata coi politici, si presta a un lancio/pubblicità per questo libro scritto a due mani da Schmidt e Jonathan Rosenberg. Da animale di spettacolo, l’anchorman fiuta gli umori del pubblico. La metà dei ventenni affluiti in massa questa sera sono suoi fan. L’altra metà sono fan di Schmidt. O meglio: sono ragazzi che considerano come un traguardo ambitissimo, un vero sogno, essere assunti da Google. Perciò Colbert indugia nelle descrizioni di tutti i benefici leggendari che vengono offerti a chi lavora a Googleplex (campus e sede centrale nella Silicon Valley californiana): le mensegourmet gratuite, palestre e campi da volley, tanto tempo libero. Insomma proprio una parte del contenuto di questo libro che racconta l’universo molto particolare delle aziende digitali. Creatività, passione per l’innovazione, spirito trasgressivo. Età media dei cinquantamila dipendenti di Google, sotto i trent’anni, conferma Schmidt. In quanto agli stipendi, i fortunati che vengono reclutati guadagnano forse un po’ meno che da Goldman Sachs ma dal doppio al triplo rispetto agli stipendi degli altri colletti bianchi, le professioni del ceto medio impiegatizio tradizionale. E vuoi mettere sul piano del prestigio, dello status, perfino della coscienza etica, quanto è più gratificante lavorare per Google che s’identifica con un mondo “smart”, giovanile, progressista, ambientalista? Essendo europeo e con un età leggermente superiore all’audience della serata, sono forse l’unico a trovare stonato il duetto Schmidt-Colbert? Mentre il chief executive di Google è osannato qui a New York, la Commissione europea lo accusa di comportamenti monopolisti. Un ministro tedesco ha appena chiesto che Google riveli i suoi algoritmi, perché si possa verificare quanto i risultati delle nostre ricerche su internet sono truccati e manipolati a fini pubblicitari. Certo, i giovani neolaureati-disoccupati del Vecchio continente sarebbero felici se ci fosse anche da noi qualche azienda capace di crescere da poche centinaia a decine di migliaia di dipendenti in pochi anni. Ma la mia non è una distorsione ottica, un “negativismo” tutto europeo. Qui negli Stati Uniti un’indagine parlamentare ha evidenziato l’enorme elusione fiscale di Google, che sposta in sedi offshore i profitti. Non io soltanto, ma esperti come Jaron Lanier, hanno evidenziato che un “aggregatore di contenuti” come Google sta creando delle diseguaglianze nuove. Da una parte saccheggia il lavoro umano di intere categorie professionali – dai traduttori ai musicisti agli scrittori – senza remunerarlo, per offrirlo “gratis” agli utenti; dall’altra genera profitti enormi con la raccolta pubblicitaria attirata da quei contenuti gratuiti. Lo stesso Colbert, o per meglio dire la società di produzione di Comedy Central che realizza il suo show, ha condotto per sette anni una battaglia giudiziaria per violazione di copyright contro Google-YouTube. Chiusa a marzo di quest’anno con una transazione extra-giudiziale dai contenuti segreti. «Alla fine abbiamo vinto noi», gongola Schmidt. La Silicon Valley è stata ribattezzata anche la Vallata degli Avvocati. Vincono sempre loro.