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 2014  settembre 28 Domenica calendario

CARMELO LOPAPA

ROMA .
La chiama «l’ondata». E sta assediando il suo contrafforte nel momento forse più delicato. Matteo Renzi, reduce dalla lunga missione americana, dice ai suoi che quella reazione di potenza uguale e contraria alla «rivoluzione» avviata se l’aspettava e puntualmente si è presentata. Giusto quando il suo governo ha iniziato a intaccare i gangli dei poteri più consolidati. E «l’ondata» ha anche una matrice, che nei colloqui privati il presidente del Consiglio — quasi galvanizzato dalla battaglia di domani in direzione sulla riforma del lavoro — non esita a bollare con l’etichetta «cattolico-massonica».
Insomma roba seria, da contrastare a testa alta certo ma non da sottovalutare, è il senso dell’avvertimento con il quale prova a rassicura (senza riuscirci del tutto) fedelissimi e ministri. E tutto il fortino renziano infatti è in stato d’allerta. Così, la giornata di relax concessasi ieri dal segretario pd per partecipare al matrimonio (da testimone) dell’amico imprenditore fiorentino Marco Carrai è stata solo il pit-stop prima di entrare nel pieno della battaglia. Con un tormentone che gli ronza nella testa, una domanda che negli ultimi giorni è rimbalzata da New York e Detroit fino a Roma. Se la ripete scorrendo l’elenco sempre più lungo di “nemici” pronti a sparare a palle incatenate contro di lui. Anche chi nemico fino a ieri non era. «Chi può coagulare tutti gli spodestati che non ci stanno?» C’è qualcuno che muove i fili dei tanti paladini che si stanno agitando sulla scena? Non è la teoria del complotto, ma certo — nel ragionamento dell’inquilino di Palazzo Chigi — le coincidenze sono troppe per non trasformarsi in altrettanti indizi. La Cgil e i sindacati sono stati dall’altra parte della barricata dalla prima ora, la Confindustria di Squinzi non è stata mai tenera. Ma da un pezzo del Pd ormai è guerra aperta, gli affondi ultimi della Conferenza episcopale sono una novità, come la stilettata dell’ex amico Diego Della Valle e gli editoriali ostili. Inizia ad avvertire anche l’avversione di «certi ambienti culturali». Coincidenze? La lettura che se ne dà, al quartier generale renziano, è assai complessa. L’impressione è che si sia coalizzato tutto un pezzo della famosa “Ditta” di bersaniana e dalemiana ispirazione e non solo (ultimo ieri Civati ha evocato a chiare lettere la scissione). Ma al contempo viene additato un pezzo di tecnocrazia europea che lo vorrebbe lavorare ai fianchi per il suo pallino sullo sviluppo e il lavoro in barba alle politiche rigoriste nord continentali. Sullo sfondo poi i «poteri forti» che Renzi sostiene di non temere («Peggio il pensiero debole») ma che, a suo dire, assieme alla «vecchia politica » starebbe cercando di fermarlo, almeno di condizionarlo. Dai pensieri in libertà del capo del governo delle ultime ore si intuisce come non sia il braccio di ferro tutto interno al Pd sull’articolo 18 a impensierirlo. Nella direzione di domani alla fine peseranno i numeri, come sempre. E alla minoranza di sinistra non resterà altra strada che quella “democratica” dell’adeguarsi alla volontà e ai numeri della maggioranza. La mobilitazione del 25 ottobre annunciata da Susanna Camusso che ha già prenotato la simbolica location di Piazza San Giovanni l’aveva preventivata nel momento in cui ha deciso di andare fino in fondo col Jobs Act, senza concessioni, senza modifiche, correttivi o rinvii di sorta. Anche se Renzi forse si sarebbe risparmiato la concomitanza tra la Leopolda 2014 (già programmata dal 24 al 26 a Firenze) e le bandiere rosse Cgil in piazza contro di lui giusto quel sabato. Gioco forza, il leader proverà a trasformarlo nel derby tra «conservazione e innovazione». Oppure, come spiegava ai dipendenti Fiat-Chrysler ad Auburn Hills al fianco di Marchionne, tra «coraggio e paura». Sarà dura comunque, lo attende una «traversata nel deserto», va ripetendo. Ma a preoccupare, forse non tanto lui quanto la cerchia più vicina al premier, è la risposta alla fatidica domanda «chi c’è dietro» ai cannoneggiamenti di questi giorni. Perché quando iniziano a circolare nomi di potenziali sostituti a Palazzo Chigi in caso di emergenza, allora non c’è da stare tranquilli. Tra i dem più “raffinati” il nome circolato è quello del governatore della Bankitalia Ignazio Visco. E che dire delle voci sulla candidatura virtuale di Mario Draghi al Quirinale, tornate insistenti proprio adesso. Sembrano risuonare come un avvertimento: tra i due le scintille a distanza sulle politiche economiche non sono mancate. Fantasmi, che Renzi prova a scacciare concentrandosi sulla direzione Pd, che domani segnerà i destini del Jobs Act, e sul Consiglio dei ministri che martedì metterà le basi alla prossima legge di stabilità. «Tanta roba », come dice lui, sufficiente per rivolgersi subito — come farà stasera dalle telecamere di Fabio Fazio — all’interlocutore unico che è disposto a prendere in considerazione: «Gli italiani».
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