Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 27 Sabato calendario

“ECCO PERCHÉ L’EUROPA ORA È COSÌ VULNERABILE” I MILIZIANI “STRANIERI” UN INCUBO PER I SERVIZI

La polvere della guerra all’Is inghiotte l’Europa e la accende di allarmi. E in un’escalation di annunci dove il confine tra il vero, il verosimile e l’ipotetico si fa sottilissimo, gli arresti delle polizie inglesi e spagnole, così come il numero dei foreign fighters con passaporto europeo — 3.000 — fornito dal capo dell’Antiterrorismo dell’Unione europea Gilles de Kerchove, documentano con certezza soltanto il livello di frenesia che in queste settimane percorre gli apparati della sicurezza dei 28 Paesi Ue e quelli dell’alleato americano. Mai il nemico è apparso più invisibile e mimetico. Mai più vicino, perché protetto da un passaporto europeo. Una fonte qualificata della nostra Intelligence racconta la nuova stagione della paura con un’immagine: «Cosa sta succedendo? Immagina uno sciame di api e un esercito di cacciatori ognuno armato del suo schiaccia insetti». In un continente dove si parlano 24 lingue diverse e che conta quasi un centinaio tra corpi di polizia e servizi di intelligence, la sfida asimmetrica di Al Baghdadi scommette sulle possibili falle di un sistema di sicurezza imponente nei numeri ma che fatica a connettersi.
Spiega una fonte della nostra Antiterrorismo: «Sul piano strettamente operativo, e dunque per tutto quello che concerne lo scambio di dati e informazioni su singoli individui di rientro dal fronte siriano o residenti in Europa, i canali sono tre. I rapporti diplomatici bilaterali tra Paesi; lo scambio di informazioni tra i servizi centrali delle polizie europee; la cooperazione tra Servizi di intelligence». Parliamo di migliaia di informazioni quotidiane che non hanno un database comune in cui essere centralizzate. Non è un caso che il Viminale sia tornato a chiedere che, almeno per quanto concerne i nomi, i profili e gli spostamenti dei foreign fighters con passaporto europeo, ciascuno Stato dell’Unione si dia almeno un centro unico di consultazione. Spiega ancora la nostra fonte: «In Italia esiste il “Casa”, un tavolo operativo che centralizza le informazioni di Servizi e polizie. E dunque un alleato europeo sa a chi rivolgersi. Ma, per fare un esempio, se noi abbiamo bisogno di verificare un’informazione dai francesi, le porte a cui bussare sono almeno tre. E quasi mai quel che è noto alla Dgse (lo spionaggio all’estero), lo è alla Gendarmerie. E viceversa».
Non è un caso che la storia di Mhedi Nemmouche (macellaio dell’Is e autore della strage di maggio al museo ebraico di Bruxelles) sia diventata in queste settimane per le intelligence di tutta Europa un incubo e un caso di scuola. Nessun Servizio, nessuna polizia europea era riuscita a intercettarne la contorta rotta di rientro dalla Siria, attraverso Singapore e la Malesia. Tanto che il suo arresto era stato del tutto casuale, durante un controllo doganale di routine. «Se è accaduto ieri per lui — osserva ancora una fonte della nostra intelligence — può accadere domani per qualcun altro». E così, nell’oscillazione perpetua del pendolo tra la difesa delle libertà individuali e la tentazione “sicuritaria”, l’Europa e i suoi apparati di sicurezza scoprono un’altra vulnerabilità. Bloccata nel Parlamento Europeo da una robusta opposizione, la mancata approvazione della legge sul cosiddetto “Pnr” (Passanger name record), rende di fatto oggi gli apparati di sicurezza europei incapaci di ottenere dati dettagliati sui passeggeri in transito o in arrivo nei Paesi dell’Unione. «Un database europeo con il Pnr — spiega una fonte di polizia — consentirebbe in tempo reale di sapere esattamente chi viaggia su un aereo, dove e in che modo ha acquistato il biglietto, in quale Paese è stata fatta la prenotazione. Oggi, invece, tutti i dati che abbiamo sono quelli che vengono forniti spontaneamente dalle compagnie aeree alle singole polizie di frontiera. Si tratta per lo più di un elenco di cognomi e nomi con le sole iniziali di battesimo. Senza una data di nascita e senza alcuna informazione sull’acquisto dei biglietti».
E se poi a questa “miopia” si somma lo spazio di libera circolazione assicurato dal trattato di Schengen ecco spiegato il perché, in questi giorni, il cuore dell’Europa appaia oggettivamente sovraesposto alla minaccia. In un indice di rischio che vede in cima alla lista dei probabili obiettivi Svezia, Regno Unito, Olanda, Belgio, Francia e Germania (i Paesi con una presenza di cittadini musulmani di ormai terza generazione), le intelligence europee concordano su un punto. Che i macellai dell’Is colpiranno «lì dove si presenterà una window opportunity ». Una finestra in cui — come si è letto nei profili Facebook dei foreign fighters inglesi — portare il terrore nel “backyard”, nel retro, della quiete delle capitali europee. Soprattutto se quell’orrore non dovesse assumere la scala e la complessa progettualità di una strage di massa. Ma quella psicologicamente altrettanto devastante della decapitazione di un innocente scelto nel mucchio. E non più a un’ora di volo dal vecchio Continente ma, appunto, nel suo cuore.
Carlo Bonini, la Repubblica 27/9/2014