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 2014  settembre 27 Sabato calendario

ADDIO ALL’ULTIMA DELLE SORELLE D’INGHILTERRA

È morta a 94 anni Deborah Vivien Cavendish, duchessa di Devonshire, ultima delle sei sorelle Mitford. Al di fuori dell’Inghilterra, il suo nome dice poco. Ma a Londra ieri i giornali erano pieni di rispettosi articoli sulla sua vita e sulle vicende della sua famiglia. Con lei se ne va l’ultimo esponente di una aristocrazia inimitabile, che così tanto ha segnato, nel bene e nel male, la storia del paese. Le sei sorelle Mitford hanno offerto per quasi un secolo all’alta società britannica una fonte inesauribile di pettegolezzi e argomenti di conversazione.
Figlie di David Freeman-Mitford, 2° barone Redesdale, erano cresciute come crescevano all’inizio del secolo scorso le ragazze del loro rango: bellissime, sfrontate, sicure di essere invulnerabili e impegnate a lucidare ogni giorno la loro immagine. Il padre non riteneva che l’istruzione potesse essere utile alle donne, non le mandò a scuola e insegnò invece loro a cavalcare, sparare e cacciare. Fascista fin nel midollo, cercò anche di orientarne le convinzioni politiche, non sempre con successo.
Nancy, la primogenita, divenne una scrittrice molto chic. Pamela fu un’ardente antisemita, ma visse una vita tutto sommato tranquilla. Sognava di diventare un cavallo, e sposò un fantino. Diana fu il vero orgoglio del padre: sposò Oswald Mosley, il capo del partito fascista inglese, nella casa di Joseph Goebbels, alla presenza di Hitler. Durante la guerra, per sicurezza, il governo la fece incarcerare. Unity, che aveva come secondo nome Valkyrie, si sparò wagnerianamente un colpo in testa per la disperazione quando la Gran Bretagna dichiarò guerra a Hitler. Sopravvisse, ma morì pochi anni dopo per meningite da pneumococco. In una famiglia così ci voleva una pecora nera, e così Jessica diventò comunista e scappò in Spagna con un nipote di Churchill, per combattere il dittatore Francisco Franco. Si trasferì poi negli Stati Uniti, dove divenne una attivista per i diritti civili, dimenticata e, ovviamente, diseredata.
Deborah non aveva passioni politiche. Unity l’aveva portata a prendere un tè con Hitler quando aveva 17 anni, ma il Fürher non le fece grande impressione. «Solo quando sei in una stanza con Churchill – disse in una intervista – capisci che cos’è il carisma». Aveva conosciuto anche John Kennedy, «the loved one», il più amato, e tutte le persone più in vista del secolo. La regina Elisabetta l’aveva invitata alla sua incoronazione. Lucian Freud le ha fatto un ritratto. Aveva sposato nel 1941 Andrew Cavendish, duca di Devonshire, un uomo molto ricco, alcolizzato e infedele. «Debo», aristocraticamente, non se ne curava. «Andrew non è mai noioso», diceva, e questo bastava.
Il duca aveva meravigliose proprietà in Inghilterra, ma le aveva perse tutte. Restò Chatsworth House, nel Derbyshire, 175 stanze, forse la proprietà di campagna più bella del Paese. Rimasta vedova, la duchessa l’ha aperta al pubblico e si è messa a gestirne il bar e il negozio, sempre in modo signorile. «Le classi sociali – aveva detto in una intervista al “Telegraph” – sono la più terribile peste mai inventata».
Chi è stato suo ospite a Chatsworth House ha fatto un viaggio nel tempo, e non l’ha più dimenticato. Ha scritto libri, una autobiografia e qualche articolo per il «Telegraph», nel quale ricordava quando al ballo le donne sposate dovevano indossare la tiara e si lamentavano poi dell’insopportabile peso di quel metallo prezioso e di tutte quelle pietre incastonate. Era fanatica di Elvis Presley, del quale aveva collezionato centinaia di memorabilia. Il principe Carlo, che era suo grande amico, ne ha scritto un elogio insolitamente lungo, per ricordare un’altra grande protagonista del suo mondo che se ne è andata. Restano le ultime foto di un bel volto pieno di rughe orgogliose, ognuna con una storia da raccontare.
Vittorio Sabadin, La Stampa 27/9/2014