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 2014  settembre 27 Sabato calendario

NELLA MIA BRUXELLES DOVE LO JIHADISTA CRESCE SOTTO CASA

Il sabato e la domenica c’è il mercato sul Parvis e il popolo di Saint Gilles affolla i banchetti davanti alla chiesa senza curarsi dei capricci del tempo, alla peggio «è solo acqua». Guardi le facce e decidi che lingua parlare, il francese serve per i venditori maghrebini di frutta e verdura, l’italiano funziona con spagnoli e greci, ma non ci sono regole nella piazza globale. È il calderone di un’integrazione che qui appare ben riuscita, anche se da almeno tre isolati - scendendo per la Chaussée di Waterloo - le basse case si sono fatte più fatiscenti e trionfano le macellerie halal. Giri un angolo e i muri diventano più scrostati, le vie deserte e nude. Pochi uomini, ancora meno le donne.
Charles Picqué, il sindaco di Saint Gilles - uno dei diciannove Comuni autonomi che compongono la Grande Bruxelles -, ricorda sempre che nel suo dominio i belgi veri sono il 10 per cento delle anime che ci vivono. L’immenso municipio che pare uscito da un cartone di Batman è in cima alla collina, sotto la zona a più alto reddito dove brulicano i francesi, circondato dai portoghesi, numerosi e fedeli al baccalà servito nelle taverne Art Nouveau. Passata la Barriere, oltre la rotatoria dai sette trafficati affluenti, ecco i kebab e le frites intossicanti. Si entra in zona musulmana. La città invecchia rapidamente, ostenta le sue rughe. «È la metà sensibile del quartiere», dicono alla Police.
Angoli di Tunisi disegnati da architetti ispirati da Horta. Edifici non proprio freschi. Tende grigie, scatoloni sui marciapiedi, rifiuti. Divani. Night shop dall’aria stanca. Atmosfera in apparenza quieta. Ci passi ogni giorno e sembra un posto normale, almeno sino a che la portoghese dell’edicola racconta che, prima del piano di sicurezza varato da Picqué un anno fa, ha subito quattro rapine. O l’amico artista che rivela di essere stato malmenato e derubato alle tre del pomeriggio.
Più ti avvicini alla linea ferroviaria e più la tua storia occidentale diventa lontana. Spuntano le moschee nei cortili, tre centri islamici in due isolati, un hammam non invitante da 10 euro a seduta, oltre l’alimentari spagnolo. Quattro presunti jihadisti li hanno fermati qui vicino, al fondo della Chaussée de Forest. Sono ragazzi come i tanti che incontri a ogni angolo, jeans, Nike larghe, t-shirt colorate, taglio di capelli da Fifa14. Le donne sono velate, non ti guardano, e se lo fanno hanno occhi profondi in cui si mescola forza e riservatezza. L’amministrazione Picqué ha firmato un migliaio di espulsioni. La criminalità è scesa di oltre un terzo. Nel 2013, si registravano 37 reati ogni cento abitanti, ora siamo poco sopra i venti.
Giù verso la stazione abitano molti studenti, integrati eppure terra fertile per gli estremismi, vite che bruciano nelle poche palazzine squadrate del comune. Hanno passaporto belga e una genealogia radicata in terre più assolate. Oltre la ferrovia si aprono Anderlecht e Molenbeek, municipalità straniere che tracimano nella fetta meridionale del centro di Bruxelles, i rioni meno raccomandabili della capitale europea. Dalla vetta di Saint Gilles, vicino al vecchio carcere maschile mascherato da castello medievale, ci si arriva a piedi in 40 minuti, attraverso più mondi che si parlano molto, ma non rinunciano a guardarsi male.
Il caffè al Parvis è una sosta piacevole. Si discutono le cose della vita e anche gli F-16 belgi che stanno per volare in Siria, o il sindaco di Bruxelles che definisce «reali e concreti» i rischi di terrorismo. Emozioni semplici, come se nulla fosse. Anche se molti pensano che la pace relativa fra le civiltà che si spartiscono la capitale possa presto inzupparsi di conflitto.
Marco Zatterin, La Stampa 27/9/2014