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 2014  settembre 27 Sabato calendario

RIFORMA DELLA GIUSTIZIA ECCO GLI ERRORI DA EVITARE

Alla cerimonia d’insediamento del nuovo Csm, il Capo dello Stato è tornato, l’altro ieri, sul tema della riforma della giustizia. Un tema di fondamentale importanza - secondo, soltanto, a quello ancora più drammatico del l’economia e del lavoro - e sul quale, giustamente, il Presidente ha voluto richiamare l’attenzione delle forze politiche e dell’opinione pubblica in un’occasione ufficiale di particolare rilevanza istituzionale.
Che riformare la giustizia rappresenti una delle priorità del Paese è assolutamente incontrovertibile: lo dimostrano le lungaggini inaccettabili che si manifestano nei processi e le difficoltà nelle quali giudici e pubblici ministeri sono sovente costretti a lavorare. Lo specifico contesto nel quale ha parlato il Capo dello Stato (l’insediamento dell’organo di autogoverno della magistratura) conferisce d’altronde alle parole del Presidente un significato particolarmente pregnante. Esse costituiscono un monito alle forze politiche perché si sforzino di conseguire finalmente un risultato utile per il Paese ed un monito alla magistratura perché non ostacoli il rinnovamento ma anzi si rinnovi lei stessa.
Sotto quest’ultimo profilo le parole del Presidente sono assolutamente condivisibili. Parlando davanti ai nuovi consiglieri superiori, Napolitano ha giustamente stigmatizzato, innanzitutto, il correntismo: l’organo di autogoverno, nella sua componente togata «non è un assemblaggio di correnti», per cui «sono dannosi gli estenuanti, impropri, negoziati, nella ricerca di compromessi e di malsani bilanciamenti» fra le componenti. Parole forti, che colgono nel segno censurando costumi e prassi che da anni condizionano decisioni e scelte maturate fra le mura di Palazzo del Marescialli.
Si tratta di un ammonimento che diventa d’altronde ancora più incisivo quando, coinvolgendo anche i consiglieri laici eletti dal Parlamento, il Presidente ha osservato che il Csm deve essere inteso come un servizio reso alla collettività, che dev’essere pertanto esercitato con oggettività e badando soltanto al merito delle questioni, e non operando - come invece sovente avviene - come «acritici interpreti di posizioni di gruppi politici o di singoli esponenti politici», ovvero «di gruppi dell’associazionismo giudiziario o di singoli magistrati anche solo per ragioni di appartenenza o di “debito” elettorale».
Il primo problema che il nuovo Csm dovrà affrontare, ha aggiunto ancora il Presidente, è il persistente ritardo nelle nomine di molti dirigenti degli uffici giudiziari, incarichi che dovranno essere affidati, ha osservato Napolitano, «sulla base di accertate professionalità» e «senza dare all’opinione pubblica l’impressione di logiche spartitorie». Parole ineccepibili anche queste, che dovrebbero essere tuttavia rivolte, prima ancora, al mondo della politica, che nello scegliere i candidati alle massime cariche istituzionali di garanzia (Csm e Corte Costituzionale), hanno offerto, nelle passate settimane, uno spettacolo tristissimo in cui la logica della spartizione e dell’appartenenza sembrava prevalere su quella della qualità morale e professionale dei candidati.
Ma veniamo al tema della riforma della giustizia, sul quale il Presidente ha fortemente insistito. Al di là della specificità della materia «giustizia», il discorso concernente tale riforma coinvolge i nodi di fondo economici e sociali che devono essere affrontati dal Paese: il funzionamento corretto e spedito del sistema giudiziario – ha osservato il Presidente - «appaiono vitali al fine di dare le certezze e le garanzie di cui ha indispensabile bisogno lo sviluppo dell’attività economica e dell’occupazione», in quanto anche dall’efficienza dei Tribunali dipende «lo sviluppo di iniziative e progetti d’investimento da parte di operatori pubblici e privati, italiani e stranieri», nodo essenziale da sciogliere «per ridare dinamismo e competitività all’economia».
Anche qui si tratta di parole ineccepibili. Nasce tuttavia, subito, un interrogativo: se l’ambizioso progetto di riforma della giustizia annunciato da Renzi sia davvero progetto credibile, concreto, funzionale, e pertanto in grado di risolvere i problemi che ci assillano.
Le prime sensazioni non sono tranquillizzanti.
Alcuni mesi fa sono stati annunciati dal Presidente del Consiglio dieci progetti di riforma e di ciascuno di essi sono state tracciate le linee guida. A fine agosto otto di tali progetti sono stati approvati dal Consiglio dei ministri (come decreti-legge, come decreti o come disegni di legge). Ad oggi i testi definitivi di molti di tali progetti non sono stati resi noti e trasmessi formalmente alle Camere (non esisterebbero ancora i testi definitivi, in quanto le forze politiche di maggioranza non avrebbero ancora trovato un accordo su un certo numero di questioni).
Al di là delle questioni di forma che tale procedura suscita inevitabilmente, nella sostanza ciò che filtra all’esterno su ciò che accadendo decisamente preoccupa. Alcuni esempi: in materia di autoriciclaggio sembra che si stiano rincorrendo testi sempre più riduttivi dell’incisività del nuovo reato; in materia di falso in bilancio sembra che, allo stesso modo, la spinta ad annacquare sia fortissima; non si è ancora capito quale sarà davvero la soluzione definitiva in tema di prescrizione; in materia di intercettazioni il silenzio è totale.
Particolarmente importante, in questa situazione d’incertezza, può pertanto diventare il monito del Presidente della Repubblica a sostegno di una riforma indispensabile per la giustizia e per l’economia del Paese. Purché esso non sia, tuttavia, un monito generico ad operare, a fare comunque, ma anche un monito ad operare correttamente nei contenuti.
Non è infatti detto che fare significhi automaticamente fare bene.
Carlo Federico Grosso, La Stampa 27/9/2014