Teresa Campo, MilanoFinanza 27/9/2014, 27 settembre 2014
LA CASA FINISCE IN SOFFITTA
«Oggi l’unica è fare come i veri speculatori: caccia alle occasioni, ovvero a chi deve vendere in fretta o all’immobile tutto da ristrutturare», esordisce Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari. «L’importante è pagare poco. Poi si può anche lasciare l’immobile lì, senza far niente, e aspettare che il mercato riparta. Qualunque altro approccio all’investimento immobiliare oggi non promette di dare grandi soddisfazioni».
Tra nuove tasse, prezzi in calo e transazioni al lumicino infatti i tempi sono oggi molto duri per i rentier del mattone. Ma il colpo di grazia arriva loro dall’assenza di inflazione: anche prima della funesta apparizione di Imu e Tasi, ai rendimenti da locazione molto modesti i proprietari erano infatti abituati, tanto più che ai tempi quegli stessi rendimenti si confrontavano con quelli molto generosi dei titoli di Stato. «Ma appunto l’inflazione, che prima degli anni 90 era addirittura a due cifre, assicurava una plusvalenza finale che da sola giustificava l’investimento nel mattone», spiega Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma. «Anzi, il carovita era tale che, anche quando il ciclo immobiliare era negativo, i prezzi nominali delle case non scendevano lo stesso, al massimo stavano fermi, un fenomeno che non è mai venuto meno, fatta eccezione per il periodo 1992-1996 e la crisi legata a Tangentopoli».
E adesso? Orfano dell’inflazione, che promette di non farsi rivedere per un bel pezzo, al rentier del mattone non resta che andare a caccia di buone occasioni. Se gli immobili li ha già, invece, non gli resta che cercare di massimizzare i ritorni da locazione. «Ma anche in questo caso l’impresa non è facile», avverte Breglia, «perché devono cercare di muoversi quanto più possibile come i veri professionisti, senza peraltro poter contare su economie di scala e concrete possibilità di intervenire nella gestione. In tempi di crisi economica, di domanda fiacca e offerta abbondante, alzare i canoni non è possibile e quindi per migliorare la redditività non resta che tagliare i costi». I conti sono presto fatti. La redditività lorda oggi difficilmente supera il 4%. Tolto poco più dell’1% per l’Imu e per la Tasi e almeno un altro 0,5% per le spese di manutenzione, ordinaria e non, resta poco più del 2% che, al netto delle tasse, si riduce all’1,5-1,6%. Solo tagliando le spese si può incidere su questi valori, ma queste dipendono in buona parte dalle scelte degli amministratori e degli altri condomini, per cui non sono comprimibili più di un tanto. Certo, le spese di manutenzione ordinaria sono a carico dell’inquilino, ma è chiaro che se sono contenute è più facile per il proprietario spuntare canoni migliori.
Un ulteriore intervento che è possibile fare, ma sono necessari altri investimenti, è quello di sfruttare i bonus fiscali legati a ristrutturazioni e risparmio energetico. In questo modo si migliora l’appeal dell’appartamento così da spuntare rendimenti migliori (e un domani magari anche prezzi di vendita più alti) e allo stesso tempo negli anni si recuperano metà (o anche più) delle spese sostenute.
Il bilancio dell’investimento nel mattone, con tutta la buona volontà, resta comunque di scarse prospettive a breve e medio termine di aumenti in conto capitale e di rendimenti da locazione in linea con quelli dei titoli di Stato, ma a fronte di più impegno e più rischio (per esempio di sfitto). Nonostante tutto ciò però resiste, vuoi perché già in portafoglio (e in questo momento è molto difficile vendere bene) vuoi perché consente di diversificare rispetto ai prodotti finanziari, vuoi infine per le sue caratteristiche di bene rifugio. «In un mondo assai instabile il mattone rappresenta ancora qualcosa su cui si può contare», prosegue Breglia. «Anche per questo gli investitori magari non comprano, ma non accettano comunque di svendere quanto già possiedono».
Non a caso le quotazioni nelle principali piazze immobiliari, per esempio le zone centrali e semicentrali di Milano e Roma, in questi anni hanno resistito alla crisi molto meglio delle altre, perché sono riuscite comunque a calamitare gli acquisti degli investitori e degli stranieri. Ma a rivelare ancora di più che l’interesse degli italiani per l’acquisto immobiliare non è per nulla sopito è soprattutto la costante crescita degli investimenti oltrefrontiera. Le stime di Scenari Immobiliare per l’intero 2014 parlano di 45 mila abitazioni acquistate contro le 42 mila dell’anno precedente, massimo mai registrato. Record a parte, il segmento sostiene da ormai più di un decennio una crescita solida e costante. Cambiano semmai le mete, ma con alcuni evergreen. Ai Paesi dell’Est negli anni si sono sostituite Spagna e Grecia, le nuove mete low cost ma con potenzialità di ripresa nel tempo. Ma chi compra all’estero in realtà cerca soprattutto sicurezza: si spiega così il fatto che il 20% degli italiani compri negli Stati Uniti e che un’altra bella fetta scelga Londra e la Svizzera, mercati rifugio per eccellenza in attesa che, come si dice, passi la nottata.
Il futuro comunque si prefigura meno peggio di quanto si potrebbe pensare: i rentier devono ricordare che rendimenti immobiliari dell’1,5-1,6% netto in assenza di inflazione sono tutt’altro che disprezzabili. E la rivalutazione? «A 10-15 anni», assicurano gli esperti, «tornerà al solito 2% annuo».
Teresa Campo, MilanoFinanza 27/9/2014