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 2014  settembre 27 Sabato calendario

IRAN E TURCHIA I DUE ALLEATI RILUTTANTI (MA NECESSARI)

Ogni giorno che passa la battaglia contro il Califfato si rivela una guerra di paradossi. Ma anche un conflitto dove oltre alle bombe avranno sempre più rilevanza diplomazia e intelligence. Gli Usa bersagliano l’Isis in Iraq e in Siria ma temono che guadagnerà terreno proprio il regime di Bashar Assad che un anno fa volevano sbalzare dal potere. Non solo. Barack Obama deve negoziare con un membro storico della Nato come la Turchia, riluttante a partecipare alle operazioni militari, mentre l’Iran, un nemico dichiarato di Washington, è ora diventato un alleato indispensabile.
La complessità del conflitto nella Terra dei Due Fiumi è che nessuno degli attori coinvolti può fare a meno dell’altro, anche quando lo critica ferocemente. Gli inglesi lo hanno afferrato perfettamente e il premier David Cameron ha incontrato all’Onu il presidente iraniano Hassan Rohani: un evento storico perché un meeting di questo livello non si verificava dalla rivoluzione di Khomeini del 1979. E così il discorso all’Onu di Rohani, che ha condannato i jihadisti come «distruttori della civiltà» e «terroristi globali», è balzato in prima pagina.
Gli iraniani sono stati subito in prima linea nel sostegno a Baghdad quando l’esercito iracheno si è liquefatto di fronte all’avanzata del Califfato e il leader curdo Massud Barzani non ha esitato a confermare che l’Iran è stato il primo a fornire armi ai peshmerga assediati a poche decine di chilometri dalla capitale Erbil. Ma la strategia di Teheran in Iraq è articolata e conta sulle numerose milizie sciite del Sud. Sono state queste forze che hanno sbaragliato i jihadisti e rotto l’assedio di Amerli sotto l’occhio vigile del generale iraniano Suleimani, capo delle brigate Al Qods dei Pasdaran. Rohani è un pragmatico e pur godendo dell’appoggio della Guida Suprema Alì Kahmenei deve portare a casa un risultato sostanziale se vuole sopravvivere alle critiche pressanti dell’ala dura del regime. Il traguardo è la firma in novembre dell’accordo sul nucleare con l’alleggerimento delle sanzioni e il riconoscimento dello status dell’Iran come potenza regionale. Per arrivarci è indispensabile un’intesa tra Teheran, l’Arabia Saudita e le monarchie petrolifere che vedono da sempre l’Iran come un temibile concorrente.
Entrambi i fronti si accusano a vicenda di essere gli sponsor della destabilizzazione in Medio Oriente: che è la pura verità, perché l’Iran e le monarchie combattono da anni in Mesopotamia una devastante guerra per procura. Ma se la battaglia contro l’Isis spingerà a un accordo tra Mezzaluna sciita e Mezzaluna sunnita si potrà davvero affermare che il Califfato è stato un mostro provvidenziale. Anche la Turchia, oltre all’Iran, è un nodo complesso da sciogliere. Ai confini con la Siria ormai si combatte quasi ogni giorno non solo contro il Califfato ma anche tra i curdi e le forze turche che non intendono lasciare spazio alle formazioni della guerriglia così temute da Ankara. Forse la Turchia tra breve concederà ufficialmente agli americani l’uso della base aerea di Incirlik. Ma ad Ankar, gli americani chiedono assai di dare la caccia ai jihadisti. Significa entrare in guerra contro il Califfato che ha sfruttato il passaggio di migliaia di combattenti dalla frontiera turca per ingrossare le sue schiere. Il presidente Erdogan voleva abbattere Assad appoggiando i jihadisti e ora rischia di dovere rafforzare il regime che voleva eliminare.
Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 27/9/2014