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 2014  settembre 27 Sabato calendario

IL «CUORE» INDUSTRIALE

Si getta sulle nuove frontiere del 3D printing e dell’auto elettrica. Ed è tornata anche a sfornare elettrodomestici. Dal profondo Sud fino a Silicon Valley, la riscossa della manifattura americana prende oggi sempre più forma e volto.
Il volto è quello di aziende nuove, come Tesla, che ha da poco annunciato una mega-fabbrica di batterie da un miliardo di dollari in Nevada. E vecchie, come la General Electric, che ha re-importato la produzione di elettrodomestici in Kentucky prima di cederla, arricchita di progetti, alla Electrolux. La forma è quella di parchi industriali in North Carolina come in Georgia, di grandi e piccoli impianti nuovamente a pieno regime. O dei nuovi centri in partnership tra governo e privati che hanno cominciato a sorgere ovunque per stimolare l’innovazione.
Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha reso omaggio a questa rinascita, visitando le capitali dell’high-tech sulla costa occidentale e la tradizione industriale rispolverata a Detroit. Una rinascita che ancora sfugge a tanta parte dell’Europa e all’Italia. Quello del settore manifatturiero è tuttora un recupero incompiuto anche negli Stati Uniti e non cancella tensioni e rivoluzioni. Dai picchi del 1979, gli impieghi sono dimezzati, l’ultimo declino del 10% è avvenuto durante la recessione del 2008. Da allora il deficit occupazionale resta di oltre 1,5 milioni di posti in un settore che rappresenta il 12,5% dell’economia. Ma oggi questa è una percentuale che pesa, che rivendica leadership e agisce da traino.
Le fabbriche hanno ripreso sia ad assumere che a investire, responsabili di due terzi dell’intera spesa delle imprese in ricerca e sviluppo. La revisione ieri del Pil del secondo trimestre, a un robusto 4,6%, ha messo in luce il ruolo degli investimenti, con un incremento del 9,7% in impianti e macchinari, cioè in crescita e produttività future. Nel frattempo in dodici mesi il dipartimento del Lavoro ha potuto riportare la creazione nel settore di 168.000 nuovi posti di lavoro, una media di 13.500 al mese. E la ripresa ha finora generato quasi 700mila posti in fabbrica - pur se finora sparsi a macchia di leopardo nel 62% delle contee del Paese - dando al manifatturiero 12,1 milioni di lavoratori, il 9% del totale, accanto ai 17,4 milioni che sostiene, uno ogni sei impieghi privati.
Un simile ritrovato smalto ha alimentato il rientro in patria di produzioni trasferite in regioni del mondo a basso costo, il fenomeno del reshoring, che ha riguardato, oltre a elettrodomestici e frisbee, computer e tessile di qualità. I più ottimisti, incoraggiati dal boom di gas e petrolio di scisto che abbassa i costi, stimano che in un anno cento aziende abbiano rimpatriato 40mila posti e che entro il 2016 il rientro potrebbe raggiungere quota 50mila.
I dati più recenti danno credito alla ritrovata fiducia manifatturiera. L’indice flash di settembre dei direttori degli acquisti delle imprese ha evidenziato un’attività assestata ai massimi in quattro anni e mezzo. E nell’intero terzo trimestre la società di analisi Markit ipotizza la performance più convincente dalla metà del 2007, volano d’una crescita economica che potrebbe rimanere al 3-4 per cento.
Più ancora delle cifre, quando si tratta delle prospettive, conta il moltiplicarsi di iniziative d’avanguardia. Il 3D printing, o additive manufacturing, stando a Credit Suisse potrebbe crescere del 30 per cento. La tecnologia si diffonde rapidamente: la Ge Aviation, sviluppa così pompe destinate ai motori per aerei. E un sondaggio ha indicato che il 60% delle imprese sta considerando l’utilizzo del 3D printing.
Il governo americano è parte della scommessa sulla riscossa. Il presidente Barack Obama, arginata la crisi e salvate le case automobilistiche, ha alzato lo sguardo: ha inaugurato nuove strategie industriali imperniate su 15 grandi centri per l’innovazione manifatturiera in partnership pubblico-privato. Tre sono già stati annunciati a Detroit, Chicago e Youngstown. Proprio quest’ultimo, il National additive manufacturing innovation institute nel cuore dell’Ohio e della Rust Belt, la vecchia cintura manifatturiera arrugginita, è esemplare. Cantata nelle ballate di Bruce Springsteen sul tramonto delle fabbriche, la cintura che da Cleveland, Ohio, arriva a Pittsburgh, Pennsylvania, è stata ora ribattezzata TechBelt. Con l’istituto sorto in un impianto abbandonato grazie a fondi federali per 50 milioni e alla partecipazione di 50 aziende e 28 università arruolate per una missione: la competitività manifatturiera.
Marco Valsania, Il Sole 24 Ore 27/9/2014