Pierluigi Battista, Corriere della Sera 27/9/2014, 27 settembre 2014
DE MAGISTRIS NON MOLLA, FINE DEL GIUSTIZIALISMO
Luigi de Magistris che si inchioda alla poltrona di sindaco malgrado le disposizioni della legge Severino, che inveisce, ex magistrato d’assalto, contro una sentenza della magistratura, che resiste sì, ma come un politico qualunque, come un politico che avrebbe messo volentieri ai ceppi, è il simbolo della fine di una stagione: quella del giustizialismo forcaiolo, arrembante, aggressivo, santificato da un’intransigenza di ispirazione giacobina.
Avremmo potuto aspettarcelo da un politico tradizionale, oppure avvezzo a denunciare le intrusioni e gli sconfinamenti della magistratura «politicizzata», ma non dal Torquemada delle inchieste che volevano purificare l’Italia da ogni malaffare no. Non per un omaggio astratto alla coerenza, che pure avrebbe una sua nobiltà. Ma per il rispetto che si deve a una storia. Anche alla mitologia: alla leggenda di una Giustizia immacolata e audace destinata a liberare il popolo dal Male che ha inquinato le istituzioni. Cruciale in questa costruzione mitologica, di cui il de Magistris magistrato ha voluto essere l’estrema e più oltranzista incarnazione, è la sacralità degli atti giudiziari, e ovviamente della Legge. La legge Severino, però, sebbene invocata per il Nemico, viene liquidata come un crudele automatismo senza anima. E la stessa sentenza di condanna in primo grado, dunque appellabile come per qualsiasi altro cittadino, viene da de Magistris delegittimata alla stregua di una rappresaglia politica. È il cuore dell’ideologia giustizialista ad essere colpito. Vent’anni di ideologia che trovano la metafora del loro esaurirsi in un sindaco che si appella alla «strada» in antitesi alle istituzioni. Qualsiasi decisione verrà presa, resta il vulnus a un’immagine e a una retorica. Vent’anni e passa che non potevano finire nel modo peggiore. Pierluigi Battista