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 2014  settembre 27 Sabato calendario

«ME LO CHIEDE PAPA’». L’ORA DI BUSH III?

Jeb Bush non ha ancora deciso, ma la pressione attorno a lui cresce. Quella dell’«establishment» del partito repubblicano che, dopo gli sbandamenti verso l’estrema destra negli anni dell’esplosione del fenomeno dei Tea Party, sta cercando un ancoraggio su posizioni conservative sì, ma più moderate. E quella del padre, George H. W. Bush, che ha invitato il figlio a candidarsi anche durante una festa in famiglia di tre mesi fa: quella per il novantesimo compleanno dell’ex presidente. Ieri l’informatissimo Ben White ha scritto su Politico.com che di recente George H. W. Bush ha detto a un ospite nel suo ritiro nel Maine, di considerare «quasi certa» una campagna presidenziale e «un ritorno della nostra dinastia politica».
Ostacoli? Essenzialmente due: le idee di Jeb su immigrazione e scuola, troppo avanzate per un partito che su questi temi ha accentuato il suo conservatorismo. E, soprattutto, la famiglia. Se papà Bush insiste, la moglie Columba fin qui ha frenato. Non ama vivere sotto i riflettori, non vuole vedere sconvolgimenti nella vita sua e dei suoi ragazzi. A cominciare da quella della figlia Noelle, che in passato ha avuto grossi problemi di droga: la sua storia verrebbe inevitabilmente passata allo scandaglio dalla stampa.
Ma il mondo produttivo è con lui: tanto i finanzieri di Wall Street quanto gli imprenditori puntano su un moderato. E il partito, stretto tra l’«autoaffondamento» di Chris Christie e la possibilità di una terza candidatura del «perdente seriale» Mitt Romney, senza Jeb Bush non saprebbe che pesci prendere. Lui non ha deciso, ma ha promesso che lo farà entro fine anno. L’energia con la quale sta partecipando alla campagna elettorale di «mid-term» appoggiando parecchi repubblicani, induce gli osservatori a ritenere che l’ex governatore della Florida stia per sciogliere la riserva. Jeb ha un atteggiamento molto diverso da quello di sei e due anni fa: allora si era tenuto più in disparte, anche se non aveva escluso la possibilità di scendere in campo all’ultimo momento.
Chi lo conosce bene dice che il più giovane dei figli di George HW è realmente indeciso: da un lato pensa di poter essere utile all’America, sbloccare il Paese e la sua economia con poche ma incisive riforme. Dall’altro sente la responsabilità di un passo che condizionerà la vita di moglie e figli per sempre. Togliere libertà ai suoi cari, smettere di costruire un patrimonio familiare da lasciare loro, sono cose che gli pesano immensamente. Stavolta, però, non può rimandare come ha fatto nel 2008 e nel 2012: arrivato a 61 anni, questa è la sua ultima occasione: la prossima volta – presumibilmente tra 8 anni – sarà quasi settantenne.
L’ostilità della gente verso le dinastie politiche, i problemi di linea e il rischio di essere assaltato dal Tea Party alle primarie, lo preoccupano meno: Jeb ritiene che il ricordo negativo del fratello George stia svanendo nell’opinione pubblica, ora che Obama è costretto ad attaccare in Medio Oriente usando una retorica da «guerra contro le forze del male». E poi la questione dinastica è neutralizzata, sull’altro fronte, dalla (probabile) candidatura di Hillary Clinton. Quanto alla linea politica, l’ex governatore della Florida sa che molti, nel suo partito, non condividono le sue idee su una sanatoria almeno parziale per gli immigrati clandestini e sull’introduzione dei cosiddetti Common Core Standard nella pubblica istruzione. Ma Jeb crede che in politica contino soprattutto la capacità di leadership e il carisma: è convinto di poter spiegare in modo convincere le sue idee all’elettorato conservatore portandolo dalla sua parte.
Massimo Gaggi