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 2014  settembre 27 Sabato calendario

LA TESTIMONIANZA DI NAPOLITANO E I RISCHI PER IL PRESTIGIO DEL COLLE

Giovedì aveva avuto la sgradevole «sorpresa» di sentirsi chiamato a rendere una testimonianza che già un anno fa pensava di evitare, avendo spiegato per iscritto di non avere alcuna conoscenza «utile al processo». Ieri, dopo che i giudici avevano insistito per ascoltare comunque dalla sua viva voce quel «dato negativo», e pur avendo offerto subito la propria disponibilità a farsi ascoltare, Giorgio Napolitano ha visto materializzarsi le prime avvisaglie di una temuta strumentalizzazione mediatico-politica.
Con il rischio di una lesione del prestigio e dell’autorevolezza del presidente della Repubblica, che a norma di Costituzione è anche al vertice del Csm, trascinato (sia pur solo in veste di testimone, ma tanto può bastare a qualcuno per intorbidire le acque nel conflitto infinito tra politica e giustizia) in un procedimento assai controverso. Nel quale si adombra la pesantissima ipotesi di una trattativa tra pezzi dello Stato e la mafia.
Sarà dunque con ogni probabilità carico di tensione e inquinato di polemiche l’intervallo di tempo (di sicuro breve) che separa Napolitano dall’udienza con la corte d’Assise di Palermo. Sono infatti bastate poche ore a far scattare qualche intervento dal sapore provocatorio, giocato su pretesti che appaiono giuridicamente infondati.
C’è chi, ad esempio, vorrebbe far intervenire in videoconferenza dal Colle i boss Riina e Provenzano. E chi, come Salvatore Borsellino, fratello del magistrato assassinato 22 anni fa dall’autobomba di via D’Amelio, vorrebbe che l’audizione si tenesse «a porte aperte, così che i cittadini possano ascoltarlo» (richiesta mutuata dal Movimento 5 Stelle). E, mentre il presidente del Senato, Pietro Grasso, ricorda — un po’ sibillinamente — di aver «scelto di andare a Palermo per rendere la propria testimonianza», non sono poi moltissime le voci di solidarietà al capo dello Stato. Da Fabrizio Cicchitto (Ncd), che definisce «una prova di arroganza la chiamata a deporre disposta dalla magistratura siciliana», alla nota politica di Forza Italia, il Mattinale, che evoca una coincidenza «non casuale» in ciò che è accaduto. A questi si aggiungono attestati di stima e fiducia del Pd che, per bocca di Lumia e Verini, ricorda che il presidente della Repubblica è, e resta, «un riferimento istituzionale e morale del Paese» e qualifica come «discutibile» l’iniziativa della Procura.
Ecco il punto: per uscire dalla logica della confusione interessata, dietro la quale magari si gioca l’ennesima prova di forza nello scontro tra politica e giustizia,in questo caso conta fare chiarezza. E, stando a quel che preme al Quirinale, la si fa ricordando alcune cose. Anzitutto che Napolitano ha liberamente deciso di rendere una testimonianza che avrebbe anche potuto non accettare. E che le modalità della sua audizione non vengono stabilite in base a un capriccio, ma a quanto disposto dal Codice di procedura penale (articoli 205 e 502). Ancora: l’oggetto dell’interrogatorio sul Colle (e là convocato perché così prevede la legge) è fissato dall’ordinanza della corte limitatamente alla lettera-sfogo del consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, poi stroncato da un infarto, relativamente alle preoccupazioni da lui espresse riguardo le telefonate con l’ex ministro Nicola Mancino, imputato di falsa testimonianza nel processo. Infine va segnalato che l’udienza (davanti ai soli giudici dell’Assise e ai magistrati della Procura) non sarà affatto segreta, ma — sempre stando al Codice — «non aperta al pubblico». Con la stesura di un verbale che sarà accessibile.
Marzio Breda