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 2014  settembre 27 Sabato calendario

L’ATTESA DEL PREFETTO

L’opportunità politica e l’opportunismo politico sono concetti che non possono entrare negli uffici di una prefettura, e certo non entrano nell’ufficio di Francesco Antonio Musolino, che della prefettura di Napoli è il numero uno dal novembre del 2012. Toccherà a lui, calabrese dell’Aspromonte, disporre, in base a quanto prevede la legge Severino, la sospensione di Luigi de Magistris da sindaco di Napoli. Non è contemplato che faccia valutazioni politiche: solo procedurali. Tecnicamente dovrà avviare la pratica quando dal Tribunale di Roma gli sarà trasmesso il dispositivo della sentenza, o, qualora i tempi dovessero slittare, le motivazioni.
Fino ad allora al prefetto Musolino tocca fare come se non vedesse, non sentisse e non leggesse nulla di quello che sta accadendo. Come se non gli arrivasse nemmeno l’eco delle polemiche e dei toni sempre più alti che de Magistris sta usando per commentare la condanna subita dal Tribunale di Roma e le conseguenze che ne deriveranno. Ci sarà abituato: l’equilibrio per un prefetto, più che una dote è un «ferro del mestiere» e quindi ce l’avrà sicuramente anche lui. Certo sa che dovrà prendere una decisione forse non difficile ma sicuramente delicata. E infatti «delicata» è l’unica parola che utilizza in pubblico, sollecitato dai giornalisti, per definire questa vicenda.
Delicata ma non urgente. Nel senso che non sarà in ogni caso la fretta ad orientare le mosse del prefetto. Non esiste da nessuna parte un countdown che scandisca le ultime ore di de Magistris a Palazzo San Giacomo, e non c’è ragione affinché lo avviino negli uffici di piazza del Plebiscito, dove sarà recapitata la sentenza di Roma. E dove certo nessuno si rammarica che non sia arrivata ancora. Napoli sta vivendo giorni difficili e allo stesso tempo cruciali. La prospettiva di un sindaco obbligato a non essere più sindaco significa il fallimento di un progetto politico che, per quanto sia oggi criticato da tantissime parti, rappresenta comunque quello che i napoletani hanno scelto al momento del voto e che se vorranno bocceranno quando andranno a votare di nuovo. E, come se non bastasse, tutto questo accade nei giorni in cui il consiglio comunale si riunisce per approvare il bilancio.
Formalmente se de Magistris venisse sospeso non cambierebbe nulla: il consiglio rimarrebbe in carica e il voto sull’azione economico-finanziaria del Comune ci sarebbe comunque. Ma politicamente sarebbe devastante e con conseguenze imprevedibili. E tutto questo al prefetto non può sfuggire. Quindi la mancata trasmissione della sentenza, che a questo punto slitterà sicuramente almeno alla prossima settimana, gli dà l’opportunità non sgradita di avviare la procedura e disporre la (presumibile) sospensione del sindaco, quando il consiglio comunale avrà già votato il bilancio. E non solo: più tempo passa, più è probabile — o almeno è auspicato — che si abbassino i toni, in modo che la città possa accogliere la decisione del prefetto in un clima più disteso.
Per ora siamo all’opposto. E nell’escalation di propositi bellicosi, de Magistris lancia, in maniera nemmeno tanto velata, un segnale anche a Musolino. «Innanzitutto la sospensione si può impugnare, si può fare ricorso. E comunque vedremo se sarò sospeso. E se sarò sospeso, vedremo quando sarò sospeso. Vedremo se qualcuno si prenderà la responsabilità di una sospensione lampo». Un «qualcuno» che può essere solo il prefetto. Ma è difficile credere che con quelle parole de Magistris abbia puntato a personalizzare uno scontro tra lui e il rappresentante del governo. Ben altri significati e strategie potrebbe nascondere il suo discorso. Potrebbe puntare alla dilatazione dei tempi sperando che si allunghino abbastanza da far maturare la prescrizione, in modo da uscire sicuramente pulito dall’Appello. O davvero è convinto (come del resto dice) di poter essere assolto in secondo grado. O ancora, per quanto al momento sentendolo parlare appaia impossibile, ha in mente un percorso che gli consenta di gestire, anche mediaticamente, la sua ribellione alla sentenza con ancora la fascia tricolore addosso, per poi dimettersi in tempo per evitare la sospensione ed essere quindi ricandidabile.