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 2014  settembre 27 Sabato calendario

I TERRORISTI CHE SONO TRA NOI

Nella guerra contro lo Stato islamico vi sono almeno due battaglie da combattere con metodi diversi. La prima è militare. Sarà necessario liberare i territori iracheni occupati dalle milizie islamiste e riconquistare Raqqa (la loro capitale siriana) senza troppo disquisire sulla possibilità che l’operazione possa giovare al regime di Bashar al Assad.
Questa guerra verrà fatta prevalentemente dall’aria per consentire ai peshmerga curdi di cacciare l’Isis dalle loro terre e all’esercito iracheno di riconquistare le regioni perdute. Ma non è escluso che qualche contingente occidentale debba partecipare alle operazioni. La posta è troppo alta perché l’Europa e gli Stati Uniti possano limitarsi a combattere per procura. Questa non è una vicenda in cui basti raccogliere qualche successo militare. Occorre dimostrare che il progetto del Califfato non è soltanto una intollerabile manifestazione di barbarie; è anche un disegno assurdo, irrealizzabile, dannoso per tutti i Paesi della regione. La guerra a oltranza, in questo caso, serve anche a convincere i giovani combattenti dell’Isis che il fanatismo non rende invulnerabili, che la vita non merita di essere bruciata in questo modo.
    La seconda battaglia deve essere combattuta in Occidente contro cellule composte da fanatici alla ricerca di una nuova fede e da veterani di altre battaglie islamiste (più di 3 mila secondo il coordinatore europeo della lotta contro il terrorismo). Conosciamo i loro obiettivi: creare quinte colonne che ci minaccino nelle nostre case, coinvolgere nella lotta le comunità musulmane, costringerci ad adottare misure che rendano lo scontro sempre più aspro, promuovere se stessi al rango di nemici ufficiali dei nostri Paesi. Sono gli obiettivi di tutti i terrorismi, dalle Brigate Rosse agli irlandesi dell’Ira e ai baschi dell’Eta. Vincono quando il loro nemico comincia a subire ricatti e a trattarli come combattenti. Spetta a noi evitare reazioni che possano favorire la loro strategia.
    Per vincere abbiamo un’arma che potrebbe rivelarsi efficace: i musulmani europei. Se sapremo coinvolgerli, saranno i nostri migliori alleati. Ne esistono le condizioni. Come quella creata durante la prima guerra del Golfo, la coalizione contro l’Isis non potrà mai essere definita una «crociata» composta da Paesi cristiani. È una ragionevole alleanza fra Paesi di tradizione cristiana e Paesi di tradizione musulmana. Mi piacerebbe che gli storici, un giorno, parlassero della guerra contro l’Isis come dell’evento che maggiormente avvicinò il mondo della cristianità e quello dell’Islam.