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 2014  settembre 26 Venerdì calendario

CITTÀ INVISIBILI (E ALTRE STRANEZZE)


Città inesistenti, ma segnate sulle mappe. Paesi esistenti, ma introvabili su Google Earth. Isole che appaiono e scompaiono. E poi terre di nessuno, aree contese, confini mutanti... Nell’epoca delle foto satellitari, la geografia non è sempre una scienza esatta. Non solo per motivi geometrici: le cartine, per quanto accurate, sono distorte perché rappresentano un oggetto tridimensionale e sferico (la Terra) su una superficie bidimensionale e rettangolare. Ma anche perché, spiega Alastair Bonnett, docente di geografia sociale all’Università di Newcastle (Uk), i satelliti hanno inquadrato ogni angolo d’Europa e del Nord America, ma gran parte dell’Africa, dell’Asia, dei Poli e degli oceani non è stata ancora ripresa dallo spazio (non c’è ritorno economico) ed è illustrata con mappe tradizionali. Del resto, per fotografare tutta la Terra (mezzo miliardo di km2) in alta risoluzione occorrerebbero 50 miliardi di scatti. «Meglio così» commenta Bonnett. «Abbiamo bisogno di luoghi inesplorati, che stimolino la nostra fantasia». Con questo spirito, Bonnett ha raccolto nel libro Off the map (Aurum Press), 47 stravaganze geografiche: uno schiaffo alla globalizzazione e alla sua pretesa di aver catalogato tutto il pianeta. Ecco i casi più originali... con qualche aggiunta.
ZHELEZNOGORSK, LA MISTERIOSA. Fu costruita in segreto nel 1950, in piena Guerra Fredda. Non apparve sulle cartine dell’epoca, ed era top secret anche il suo nome, Zheleznogorsk: chi voleva scrivere una lettera a uno dei suoi 80 mila abitanti doveva indirizzarla a Krasnoyarsk-26 (la città più vicina, a 64 km di distanza). In quella città ordinata, fatta da una griglia regolare di ampi viali e giardini, vivevano operai, militari, scienziati e pochi negozianti. Tutti tenuti sotto chiave da alti cancelli e posti di blocco; perché a Zheleznogorsk si produceva plutonio per uso militare. Zheleznogorsk rimase nascosta fino al 1992, quando il presidente russo Boris Eltsin ne rivelò l’esistenza insieme ad altre 39 città segrete. Ma la città è tuttora blindata: nel 1996 gli abitanti hanno deciso di restare isolati dal mondo. Per entrare e uscire bisogna chiedere il permesso ai Servizi di sicurezza. Non si produce più plutonio, ma 3/4 dei satelliti russi sono costruiti qui.

CENTRALIA, SUL FUOCO ETERNO. Era il 1962 e una squadra di pompieri aveva bruciato una pila di rifiuti in una miniera abbandonata. Se ne andarono senza accorgersi che il rogo era ancora acceso: le fiamme arrivarono all’ingresso di uno dei pozzi, che portava alle vene sotterranee di antracite, carbon fossile puro al 95%. Nelle viscere di Centralia (Pennsylvania) se ne nascondevano 40 milioni di tonnellate, che presero fuoco. Sul momento nessuno se ne accorse. Poi gli alberi iniziarono a morire, l’asfalto a bollire e l’aria a invelenirsi per le esalazioni di monossido di carbonio. L’incendio sotterraneo era diventato un inferno impossibile da domare. Nei decenni successivi la popolazione, 2 mila abitanti, è stata evacuata, e Centralia è diventata una cittadina fantasma. Oggi l’incendio nel sottosuolo è ancora attivo: avanza di 100 metri l’anno e nessuno può spegnerlo. Durerà ancora per secoli.

KANGBASHI, GRATTACIELI NEL NULLA. È nata nel 2009 in un’area sperduta nel nord della Cina. Ha moderni grattacieli, musei, centri sportivi, sufficienti ad accogliere un milione di abitanti. Ma i viali sono deserti: l’unica presenza umana che si nota sono gli operai che continuano a costruirla. Kangbashi è una città disabitata: la sua nascita fu decisa nel 2003 dalle autorità della vicina Ordos, città mineraria ricca di gas e carbone. Minacciata dall’avanzata del deserto e dalla carenza d’acqua, Ordos voleva nuovi spazi. Dopo 5 anni la nuova città, costata 120 miliardi di euro, era pronta. Nel frattempo, privati e società immobiliari facevano incetta di appartamenti, scommettendo sulla loro futura rivalutazione. Ma i prezzi troppo alti delle case hanno paralizzato il mercato. E quasi nessuno ancora è andato ad abitare a Kangbashi, diventata una cattedrale nel deserto. Come Chenggong, città nella Cina del Sud (Yunnan), o Kilamba (Angola), costruita dalla finanziaria cinese Citic Group.

PRIPYAT, CITTÀ RADIOATTIVA. «Per motivi di sicurezza dobbiamo evacuare temporaneamente i cittadini. Uscendo di casa assicuratevi di avere spento le luci, e chiuso l’acqua e le finestre. Si prega di restare calmi». Era il 27 aprile 1986, e un altoparlante scandiva questo messaggio ai 49 mila abitanti di Pripyat (Ucraina). Il giorno prima, nella centrale nucleare di Chernobyl, a 3 km, il reattore numero 4 era esploso, rilasciando una nube radioattiva che investì l’Europa.
Da allora, la popolazione di Pripyat – e gli altri 69 mila abitanti nella “zona di alienazione”, nel raggio di 30 km dall’impianto – non è più tornata a casa. E la città si è trasformata in un posto spettrale con casermoni abbandonati e le strade invase dalla vegetazione. Ma anche da lupi, volpi e orsi, turisti dell’estremo e ladri, che hanno depredato le case abbandonate. Oggi il livello di radiazioni è tollerabile, ma è pericoloso entrare negli edifici affacciati sulla centrale.

AGLOE, IL PAESE CHE NON C’È. Negli Anni ’30, i titolari della società cartografica General drafting company, Otto G. Lindberg ed Ernest Alpers, erano stanchi di veder le loro mappe copiate da altri editori. Così, mescolando le lettere delle loro iniziali, inserirono nella Contea del Delaware (New York) Agloe, un paese inventato, all’incrocio fra due strade sterrate. Una trappola per stanare i futuri plagiatori. Anni dopo, in quella trappola cascò il colosso delle mappe Rand McNally. Ma quando Lindberg e Alpers gli fecero causa, scoprirono che la fonte di Rand McNally era stata... l’ufficio cartografico della Contea: l’esistenza di Agloe era stata certificata dalle istituzioni. Tanto che nel frattempo in quella zona era stato aperto un supermercato, l’Agloe general store. E così Agloe è rimasta sulle mappe per anni: Google Maps l’ha cancellata solo lo scorso marzo. Ora quell’incrocio si chiama più prosaicamente State Highway 206.

EPECUÉN, L’ATLANTIDE ARGENTINA. Le sue case sono state cancellate dalle onde, che l’hanno sommersa per 24 anni. Ma nel 2009 è riemersa, riportando alla luce i suoi viali e i palazzi erosi dall’acqua.
Villa Epecuén, 600 km a sud di Buenos Aires, aveva 1.500 abitanti che salivano a 25 mila d’estate. Tutti attratti dalle acque curative del lago salato Epecuén, sulle cui sponde il paese era sorto nel 1920. Ma il 10 novembre 1985, per effetto di piogge torrenziali, l’Epecuén – il secondo lago più salato al mondo dopo il Mar Morto – ruppe gli argini e invase il paese, sommergendolo con un metro d’acqua, che salì a 10 metri nel 1993. Il paese fu abbandonato. Ma negli ultimi anni il cambio climatico ha abbassato il livello dell’acqua, finché nel 2009 il paese è riemerso, offrendo uno scenario unico: alberi morti, case, macchine arrugginite, tutto coperto dalla patina bianca del sale.

BIR TAWIL, LA TERRA INDESIDERATA. Ci sono tante aree contese sulla Terra. E una sola eccezione: Bir Tawil, la terra che nessuno vuole. È un’area di deserto roccioso di 2 mila km2 fra il Sudan e l’Egitto. Vi abitano 800 persone, per lo più nomadi. Ma perché nessuno reclama questa terra? Perché alle due nazioni importa di più un’area vicina, il Triangolo di Hala’ib: si affaccia sul Mar Rosso e nelle sue acque c’è petrolio.
I confini fra Sudan ed Egitto furono stabiliti dagli amministratori britannici, in due occasioni: nel 1899, Hala’ib fu assegnata all’Egitto e Bir Tawil al Sudan; nel 1902, il contrario. L’Egitto reclama i confini del 1899, il Sudan quelli del 1902. E Bir Tawil non interessa a nessuno. Tanto che quest’anno un impiegato americano, Jeremiah Heaton, l’ha ribattezzato “regno del Nord Sudan” per donarlo alla figlia Emily, 7 anni, che voleva essere una principessa. Heaton ha disegnato la bandiera del nuovo regno ed è andato a piantarla nel deserto: ora spera che il regno sia riconosciuto dall’Onu.

CONSONNO, LAS VEGAS LOMBARDA. Un minareto svetta su un edificio arabeggiante, tra i monti della Brianza e le erbacce che spuntano dall’asfalto. Siamo a Consonno, frazione di Olginate (Lecco): doveva essere la Las Vegas lombarda ma è abbandonata da quasi 40 anni. Nel 1962 il villaggio – 60 abitanti – fu comprato da un industriale, Mario Bagno, che voleva trasformarlo in un polo d’attrazione per i milanesi: fece costruire un castello, un centro commerciale, un salone da ballo, casinò e hotel. Il successo fu travolgente. Poi Bagno fece esplodere una collina che impediva la vista del monte Resegone. La scelta alterò l’equilibrio geologico della zona: le alluvioni del 1976 causarono una frana che bloccò l’accesso a Olginate. La località fu abbandonata, e alla fine degli Anni ’80 Bagno tentò di farla rivivere trasformando l’hotel in una casa di riposo per anziani. Ma nel 2007 la chiuse. Da allora Consonno è meta di pochi turisti e di rave party.

KIJONG-DONG, CITTÀ VETRINA. Il governo della Corea del Nord la descrive come una fattoria collettiva di 200 famiglie. In realtà, Kijong-dong – non segnata sulle cartine – è una città fasulla: i palazzi non hanno vetri alle finestre e le strade sono deserte. Kijong-dong sorge nella Zona demilitarizzata, il confine che separa le due Coree dal 1953. Nella parte Sud c’è Daeseong-dong, un villaggio di coltivatori di riso; la Corea del Nord ha costruito di fronte a esso Kijong-dong, “il villaggio della pace”, un agglomerato di case dai tetti blu. Una città nata per impressionare i contadini della zona con la promessa di una vita prospera. Qui la propaganda ricorre a ogni mezzo: fino al 2004, gli altoparlanti installati nelle vie gracchiavano comizi a ogni ora, esortando i passanti a trasferirsi al Nord. E quando negli Anni ’80 a Daeseong-dong fu costruito un pennone alto 98 metri, il Nord rispose innalzandone uno di 160 metri a Kijong-dong: il terzo più alto al mondo.

BAARLE, SCATOLE CINESI. Ne abbiamo già parlato, ma tra le città più strane non potevamo trascurare Baarle, un’enclave con diverse exclave, in un gioco di scatole cinesi: la zona Sud, Baarle-Hertog, è un paese di 2.300 abitanti in territorio olandese ma sotto la giurisdizione del Belgio; la zona Nord, Baarle-Nassau, è una città di 6.600 abitanti nei Paesi Bassi. E ambo i paesi hanno zone che appartengono all’altro: ci sono 22 pezzi di Belgio a Baarle-Nassau, e 8 pezzi di Paesi Bassi a Baarle-Hertog. Risultato: quando si passeggia in città non si è mai sicuri di dove ci si trovi. Lungo i 160 m della strada principale, Kapelstraat, si attraversano 5 confini (segnalati da croci bianche) in meno di un minuto. Perché questo pasticcio? È un’eredità del Medioevo, quando i domìni dei feudatari erano affiancati. Una situazione unica, con varie complicazioni: a chi pagare le tasse se si vive in un edificio a cavallo fra i due Paesi? Dipende da dove affaccia la porta: così molti l’hanno spostata dove la pressione fiscale è più bassa.
Vito Tartamella