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 2014  settembre 26 Venerdì calendario

PERISCOPIO

Grillo dice di sì all’alleanza con Bersani. Un anno e mezzo fa avremmo rifatto la prima pagina. MF.

Sorci verdini. L’unica cosa che ci faranno vedere i nazarenini. Mannelli. Il Fatto.

De Magistris condannato per l’inchiesta Why not. Evvia sì! Maurizio Crippa. Il Foglio.

(mfimage) Noi siamo qui per cambiare l’Italia e non accetteremo mai di fare la foglia di fico alla vecchia guardia che a volte ritorna. O almeno ci prova. Matteo Renzi, Twitter.

Iscrivere al Pd il tre volte pregiudicato Greganti e poi sospenderlo «cautelativamente», con riserva di espulsione in caso di condanna, quando viene di nuovo arrestato, è ridicolo: che senso ha tesserare uno con tre condanne definitive, metterlo provvisoriamente fuori per un’accusa ancora tutta da provare e poi minacciare di espellerlo se arriva una quarta condanna? Renzi, ovviamente non c’era quando Greganti si faceva le ossa all’ombra della Mole. Ma il Pd piemontese, pietrificato agli anni 80 come Pompei ed Ercolano dopo l’eruzione del Vesuvio, è tutto in mano ai (neo) renziani: renziano è il segretario provinciale Morri, renziano il sindaco Fassino, renziano il suo braccio destro Quagliotti. Marco Travaglio. Il Fatto.

Il telefonino ci ha resi pressoché analfabeti, incapaci d’iniziare e concludere un discorso sensato e comprensibile. Sarà che si sta diffondendo la sindrome dello spionaggio, ma ormai la gente si mantiene sulle generali persino quando chiama a casa per dire alla moglie di buttare la pasta. La prudenza non è mai troppa. Un mio amico fu intercettato dal brigadiere di turno mentre diceva al suo fornitore di piastrelle: «Allora, cosa aspetti a portarmi la roba?» La mattina seguente lo arrestarono. Gli inquirenti avevano erroneamente creduto che «la roba» fosse cocaina. Dieci giorni in galera. Non scherzo. Si chiamava Giorgio Giangolini, geometra, incensurato. Gestiva un’impresa edile a Bergamo. Passata una decina d’anni dalla brutta esperienza, all’udire una sirena gli partiva la tachicardia: era sicuro che stessero arrivando ad ammanettarlo di nuovo. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, Buoni e cattivi. Marsilio.

Abito in un appartamento non proprio in semiperiferia, ma quasi, non ho nulla a che spartire con quelli con cui lavoro, chi mi conosce sa che non sono attaccato alla poltrona, i direttori che mi pagano sono due stronzi, i vicedirettori anche, sia quelli di questo giornale, sia di quell’altro con cui purtroppo ho dovuto collaborare, e non intendo nemmeno parlare dei colleghi, bande di imbroglioni che, potessi, gliela farei vedere io. Saranno nove anni almeno che li osservo trafficare. Mi sento completamente diverso da loro. Ah sì, avrò parlato con Bisignani credo due volte e basta, entrambe per caso, nemmeno una con Profumo, conosco Lerner, se lui vuole, ci chiacchiero, poi smentisco, il Niger mi fa cacare e sarei perfetto per fare l’amministratore delegato dell’Eni. Andrea’s versione. Il Foglio.

Dicono che con la mannaia in mano, a La7, ho fatto grossi tagli. Ma perché, oggi, La7 vive? Perché abbiamo tagliato i costi improduttivi. Perdevamo 100 milioni e abbiamo messo i conti a posto. È una cura, questa, che servirebbe anche al paese. Urbano Cairo. Sette.
Il borghese non sente la solidarietà di classe perché, anzi, è abituato alla concorrenza coi suoi pari. Sente poco la solidarietà in generale, perché pensa che se egli si fa da sé, senza aiuti, tutti debbano farsi da sé. Lottatore, nega tuttavia la «lotta di classe». Non s’intruppa volentieri nemmeno per ricavarne vantaggi. «Che superbia» sentenzia il prossimo. Non si riesce a dargli un partito: «Herasmus est homo pro se». Ciò risulta incomprensibile alla gente che non può vivere senza un partito. Sergio Ricossa, Straborghese. IBLlibri, 1980.

Da piccolo lessi una meravigliosa favola di Grimm e fui affascinato dalla storia di uno che voleva imparare la paura. A chi non conosce la paura, può succedere di tutto. Riccardo Ruggeri, Una storia operaia. editore@grantorinolibri.it. 2013.

Lettera di un falso nomade recapitata alla villa di Adriano Celentano: «Come falso nomade volevo ringraziare lei e i suoi autori televisivi e tutti i miliardari di sinistra. Grazie per avere fatto diventare Milano la seconda favela più grande d’Europa. Grazie per aver innescato una guerra tra poveri in città. Buona sauna nelle vostre piscine private riscaldate». Maurizio Milani. Il Foglio.

La cena nella quiete di un ristorante silenzioso, sconosciuto, con un libro, la tovaglia bianca, il pane caldo e il lontano tintinnire delle posate è gradevole e provoca un colpevole senso di benessere, come fare la pipì a letto da piccoli. Paolo Guzzanti, I giorni contati. Baldini&Castoldi, 1995.

Il direttore generale della polizia austriaca a Padova, Carlo Giusto di Torresani Lanzfeld, arrivò, nel 1848, ad affiggere sui muri una sua ordinanza che diceva: «Da qualche tempo si è adottato da taluno l’uso di portar cappelli detti alla Calabrese, alla Puritana, alla Ernani. Non potendosi tollerare l’uso stesso, lo si proibisce assolutamente, sotto la comminatoria agli inobbedienti dell’immediato arresto». Dal giorno dopo, quel cappello all’Ernani, che simboleggiava la ribellione contro l’Austria, lo portavano tutti. Anche quelli che non se l’erano mai messo prima. Gian Antonio Stella, Sette.

Milano non si è mai fatta mantenere perché si è sempre rinnovata. Rimpiangono le case sui Navigli! I Navigli erano una schifezza, un avanzo del Medioevo che poteva anche essere sopportato quando gli abitanti erano sessantamila. Ma lei faccia due milioni di cagate e le butti nel Naviglio e veda che cosa ne esce. Gianni Brera in Gigi Moncalvo, Milano no. Edizioni Elle, 1977.

Le discoteche sono state uccise anche dalla crisi economica, ma soprattutto da questo mondo della comunicazione ravvicinata, dalle comunità virtuali, dal popolo infinito dei social network, da quelli che non hanno più bisogno di luoghi per ritrovarsi e riconoscersi, di cattedrali del divertimento affacciate nelle notti con i loro riti antichi, le liturgie immutate, fra luci stroboscopiche e musiche assordanti. Pierangelo Sapegno. La Stampa.

La trasmissione finisce con: «Proletari di tutto il mondo unitevi!». Non sono proletario, non voglio unirmi a nessuno, ma riconosco che è un bel grido. Leo Longanesi, Parliamo dell’elefante. Longanesi, 1947.

Io, i potenti, li ossequio ma non li rispetto. Roberto Gervaso. il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 26/9/2014