Antonio D’Orrico, Sette 26/9/2014, 26 settembre 2014
QUANDO PERTINI VOLEVA LASCIARE IL QUIRINALE
A proposito dell’editoriale pubblicato da Sette la scorsa settimana che propone di trasformare il Quirinale in un Louvre italiano mi permetta informarla di quanto segue: quando Vincenzo Scotti era ministro del Beni culturali propose in via personale a Sandro Pertini di lasciare il Quirinale per farne una specie di Louvre. Pertini fu felicissimo dell’idea e cominciarono quindi le ricerche di una sede alternativa alla presidenza della Repubblica. Furono scartate: 1) Castelporziano troppo lontano; 2) idem per il Palazzo di Caprarola che, comunque, non rientrava nella geografia della Capitale; 3) Villa Madama, troppo piccola con scarsa privacy. L’allora capo del cerimoniale Ambasciatore Marcello Guidi, mio amico, mi chiese se per caso sapessi di una sede possibile. Indicai la palazzina dell’Algardi all’interno di Villa Doria-Pamphili che Pertini ritenne per lui sufficiente in quanto egli dormiva alla sua casa di Fontana di Trevi e inoltre il giardino intorno permetteva il ricevimento del 2 giugno. Fu esaminato il problema dell’ospitalità dei capi di Stato stranieri ed emerse l’orientamento che, come avviene a Washington, dove i capi di Stato alloggiano al di fuori della Casa Bianca alla Blair House, a Roma avrebbero potuto alloggiare a Villa Madama.All’epoca dei fatti l’edificio dell’Algardi era vuoto ed era “terra di nessuno” sebbene di proprietà del Comune di Roma e solo in seguito fu passato alla presidenza del Consiglio e quindi recitato. Non se ne fece nulla perché appena la notizia arrivò al capo dei corazzieri egli si dichiarò contrario in quanto in quella sede non ci sarebbe stato abbastanza spazio per i corazzieri. La verità è che non volevano mollare la caserma che hanno poco lontano dal Quirinale. Quando si parla del Quirinale si omette di dire che c’è anche la caserma – non piccola – all’esterno dei corazzieri. Come se non ci fosse posto per loro all’interno del Quirinale. Grazie dell’articolo ma tanto nulla cambia.
— Francesco Censi
Nella mia lunga vita ho conosciuto e apprezzato moltissimi gay, diventando amico di molti di essi, e ricordo la loro riservatezza, il loro pudore. Non è il caso di fare nomi perché si tratta, spesso, di note personalità del cinema, del teatro, della letteratura, della politica, dell’architettura e della pittura, che mi hanno onorato della loro amicizia. Molti ancora viventi, alcuni chiamati a sé dal Padreterno. Quelle rarissime volte che accennavo all’argomento dell’omosessualità mi pregavano di cambiare discorso. E penso all’arroganza e all’orgoglio dei gay di oggi. Qualche anno fa, prendendo spunto dalla polemica sulla opportunità di allontanare i minori dalle famiglie mafiose per evitare che ne subissero l’influenza negativa e che, crescendo, diventassero mafiosi, ho scritto una lettera a Sergio Romano, che l’ha pubblicata nella sua rubrica sul CdS, commentandola, per manifestare il mio totale dissenso. Ma richiamai l’attenzione su un altro rischio, perché cercato e non ereditato: quello dei bambini chiesti in adozione dalle coppie gay. Ero e sono convinto che un bambino adottato da una coppia gay finirebbe inevitabilmente per diventare gay e una bambina affidata a una coppia lesbica finirebbe per diventare inevitabilmente lesbica. A parte i discorsi sulla famiglia normale, che presso tutte le culture del mondo, civilizzate e primitive, è formata da un uomo e da una donna che mettono al mondo figli. Ho letto l’intervista su Sette n. 37 al signor Rosario Crocetta, presidente della Regione Sicilia, che si dichiara orgogliosamente gay. Ha detto che promuoverà una legge regionale sulle unioni civili per arrivare alla “famiglia omosessuale” e per giungere, in un secondo momento, all’adozione di bambini o bambine. Al posto di Vittorio Zincone (gli chiedo umilmente scusa) non glielo avrei consentito perché i drammatici problemi della Sicilia, economici, occupazionali, sociali, sanitari, di sicurezza, di difesa dalla mafia e così via, sono molto più importanti e seri di quelli personali del presidente. E che dovrebbe occuparsi di questi problemi e non delle famiglie omosessuali e dell’adozione di figli. Lo potrà fare quando non sarà più presidente della Regione. Non avendolo fatto Zincone (gli rinnovo le scuse) consenta a me di ricordare al signor Crocetta che un uomo politico deve parlare solo dei problemi della gente e mai dei suoi.
— Gerardo Mazziotti, premio
internazionale di giornalismo civile
Gentile Gerardo, l’orgoglio gay e il problema delle adozioni da parte di coppie omosessuali non è un problema personale del presidente della Regione Sicilia ma un tema su cui si discute ogni giorno nelle sedi istituzionali e sui giornali. Per questo credo che parlarne e, soprattutto, dare conto dell’opinione di un politico di peso come il presidente eletto dai siciliani faccia parte del nostro mestiere di giornalisti. Inoltre, non credo che risolva qualcosa “cambiare discorso” quando si parla di omosessualità.
Qualora non l’abbia fatto sua sponte, bisognerebbe “caldamente” invitare il ministro Giannini a leggere, rileggere, studiare, meditare sullo splendido articolo di Nuccio Ordine, che con chiarezza espone quanto noi docenti di buona volontà e di buon senso pensiamo da anni. Il professor Ordine parla di temi “caldi”, in primis del reclutamento: non ci si può lamentare degli (alcuni) insegnanti che sono stati reclutati con regolare concorso pubblico, piuttosto bisognerebbe metter mano (seriamente) al sistema di reclutamento. Inoltre, mi sono sentita veramente gratificata nel venir definita “infaticabile studente”: sì, è proprio così, ogni buon insegnante è necessariamente un infaticabile, e appassionato aggiungerei, studente della propria disciplina: ogni giorno dedica ore allo studio, alla selezione e alla preparazione dei materiali su cui svolgere la propria lezione. Tutto ciò, evidentemente, è necessario per un insegnamento di qualità: per ogni ora di lezione frontale (i docenti della scuola secondaria ne svolgono 18 a settimana) occorrono altrettante ore di studio e serio lavoro.
— Raffaela Bocci, Liceo classico
“Giulio Cesare”, Roma