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 2014  settembre 26 Venerdì calendario

Notizie tratte da: Roberto Mania, Marco Panara, Nomenklatura, Laterza 2014, 15 euro.Vedi Libro in gocce in scheda: 2298992Vedi biblioteca in scheda: 2281305«Se si abolissero i Tar e il Consiglio di Stato il Pil assumerebbe subito un cospicuo segno positivo» (Romano Prodi ricordando un dialogo con un investitore)

Notizie tratte da: Roberto Mania, Marco Panara, Nomenklatura, Laterza 2014, 15 euro.

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«Se si abolissero i Tar e il Consiglio di Stato il Pil assumerebbe subito un cospicuo segno positivo» (Romano Prodi ricordando un dialogo con un investitore).

Consiglieri di Stato, della Corte dei Conti, capi degli uffici legislativi dei ministeri, capi di dipartimento, segretari generali, tecnocrati della Ragioneria centrale, magistrati amministrativi, contabili, eccetera.

«Potenti, silenziosi, intoccabili. Scrivono le leggi e autorizzano gli emendamenti. Producono gli atti del governo e poi li giudicano nelle aule dei Tar e del Consiglio di Stato. Un’oligarchia di tecnici dei numeri, delle formule giuridiche, delle teorie economiche. Non cambia, non cerca il consenso, non si presenta alle elezioni. Esercita il potere. È l’alta burocrazia dello Stato».

Chi conosce i nomi dei capi di gabinetto e del segretario generale della presidenza del Consiglio dei ministri?

Il mito dei tecnici nasce con il governo Dini, di cui non fece parte nessun parlamentare.

Agonia Prima Repubblica: Dini, che fa la riforma del sistema pensionistico e rompe il patto sociale. Agonia Seconda Repubblica: Monti, riforme lacrime e sangue.

L’eurotecnico Mario Monti che si ritrovò a capo di un governo di tecnici vittima – per sua stessa ammissione – dei tecnicismi della Ragioneria generale dello Stato e dei pezzi grossi della dirigenza ministeriale.

«La politica quando c’era da decidere l’ha fatto fare agli altri, incapace di assumersi le responsabilità, timorosa di perdere consenso. E lo ha fatto fare ai tecnici, nelle diverse vesti: i tecnici del diritto, quelli dell’economia e della finanza, quelli delle regole sociali».

«I partiti della Prima Repubblica avevano dei meccanismi di selezione della classe dirigente nazionale lunghi: si arrivava a Montecitorio dopo essere stati consiglieri comunali, sindaci, rappresentanti provinciali, avendo cioè maturato conoscenza dei meccanismi amministrativi (tecnica e linguaggio compresi). Poi anche lì la trafila era lunga: relatori di leggi, presidenti di commissioni parlamentari, sottosegretari, ecc.».

«Negli anni della Prima Repubblica è la Dc che si assume la rappresentanza del ceto burocratico. L’alta burocrazia non si mette certo alla testa dei programmi riformatori. Si muove al traino della politica e quando può, come è tradizione, frena».

«Magistrati e burocrati sono per definizione conservatori: per cultura, per formazione e per autotutela».

«Nel settore pubblico il solo vero selezionatore e formatore della classe dirigente è stata e resta la Banca d’Italia».

«Con la Seconda Repubblica, e la “calata dei barbari”, arriva in parlamento una classe politica nuova, istituzionalmente rozza e ostile. Anti-Roma, anti-Palazzi, anti-ministeri, anti-burocrazia. E con essa arriva nel sistema amministrativo la logica anglosassone dello spoils system. Nei ministeri l’alternanza si estende non solo allo staff di diretta collaborazione, ma si allarga ai segretari generali e ai capi dei dipartimenti. Ma mancando un mercato degli esperti, il ricambio si traduce in un meccanismo di porte girevoli, per cui si esce da una parte e si entra da un’altra. Da un ministero all’altro, con l’incarico che può variare da capo di gabinetto a capo dell’Ufficio legislativo. Ma così chi governa è il tecnico, il consigliere, non il principe».

Nelle amministrazioni moderne i giuristi sono il 30%, il resto sono ingegneri, informatici, geologi, agronomi, specialisti. In quelle italiane la quota largamente dominante è quella dei giuristi.

Le leggi hanno bisogno di ulteriori norme per diventare operative. Si chiamano regolamenti attuativi. Il decreto Salva-Italia ne prevedeva 84, il Cresci-Italia 60, il Semplifica-Italia 51, 112 la Spending Review, 84 lo Sviluppo, 83 la legge di stabilità.

I saggi nominati da Napolitino a metà 2013 per definire un’“agenda possibile” per uscire dallo stallo, scrissero: «Sempre più spesso le norme di legge, invece di rinviare la lora attuazione a un “regolamento”, che ha un regime giuridico sufficientemente preciso, rinviano a figure di incerta definizione come i “decreti ministeriali non regolamentari”, semplicemente allo scopo di evitare le lungaggini dell’iter di approvazione dei regolamenti. Per riportare tale processo alla normalità è urgente snellire drasticamente l’iter di adozione dei regolamenti, evitando, tra l’altro, la pronuncia sul testo sia del Consiglio di Stato che della Corte dei Conti».

Il governo Monti ha passato i primi otto mesi a emanare i regolamenti di attuazione delle leggi varate dal governo Berlusconi. Più o meno la stesso cosa per il governo Letta con quelli di Monti. Renzi ha cominciato con alla spalle 470 regolamenti da emanare prima ancora di aver varato una sola legge scritta dal suo governo.

L’uso sempre più frequente dell’esecutivo di decreti legge e decreti delegati che poi affida ai tecnici le decine e centinaia di regolamenti ministeriali per l’attuazione di una legge.

«La competenza giuridica è alla base di tutto» (Pasquale De Lise, ex presidente del Consiglio di Stato).

L’aristocrazia dell’aristocrazia, i primi tra i primi della classe: i magistrati amministrativi che vincono il concorso per consiglieri di Stato. Perlopiù meridionali: campani, calabresi, pugliesi. Le donne pochissime.

Nessuna donna è mai diventata presidente del Consiglio di Stato, nessuna donna ha mai presieduto la Corte costituzionale, nessuna donna ha mai presieduto la Corte dei Conti, nessuna donna ha mai presieduto il Consiglio superiore della magistratura, eccetera.

Art. 100 dell Costituzione: «Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia dell’amministrazione».

Il Consiglio di Stato ha compiuto 183 anni. È più vecchio dello Stato Italiano. Fu istituito da Carlo Alberto nel 1831.

Gli incarichi nei ministeri dei giudici amministrativi sono passati dai sette nel 1948 ai quaranta del 2001. E l’85% dei consiglieri di Stato che viene chiamato da un ministro va a fare il capo di gabinetto.

I consiglieri di Stato vanno, quasi sempre, a fare i capi di gabinetto o responsabili degli uffici legislativi dei ministeri. Cosa sanno fare? Percorrere le traiettorie del diritto amministrativo, incrociandole con il diritto costituzionale e quello comunitario, trovando soluzioni tecniche per la politica. Lo sanno fare solo loro.

Patroni Griffi, classe 1955, proveniente da una ricca e nota famiglia di Napoli, a 24 anni vince il concorso per entrare in magistratura, a 29 è primo al concorso per magistrato del Tar, a 31 è primo al concorso per consigliere di Stato. Nel 1987 è consigliere giuridico del ministro delle Partecipazioni statali (il Dc Luigi Granelli), poi capo dell’Ufficio legislativo della Funzione pubblica dei ministri Cassese, Frattini, Motzo, Bassanini, e poi capo di gabinetto del ministro per le Riforme istituzionali Amato, capo del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio con Prodi, ministro per la Pubblica amministrazione e la semplificazione nel governo Monti, sottosegratario alla presidenza del Consiglio con Letta.

Unico consigliere di Stato che è entrato in politica passando attraverso il voto popolare: Franco Frattini.

Francesco Tomasone, consigliere di Stato, detto anche l’uomo del Lavoro, al ministero del Welfare è «certamente più potente di molti ministri che si sono susseguiti».

«Il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti, le alte burocrazie ministeriali formano un potere fortissimo quanto irresponsabile, che esercita un ruolo pervasivo sulla pubblica amministrazione. In nome dell’indipendenza, queste entità amministrano da sé le carriere. Formano corporazioni con gerarchie ferree, impermeabili a qualsiasi forma di controllo democratico. E così tutti conservano le poltrone e le relative prebende, spesso arrotondate dagli arbitrati. I magistrati del Consiglio di Stato distaccati ai ministeri scrivono leggi e decreti con ambiguità che lascia ai colleghi in servizio nella magistratura amministrativa il potere di interpretarle» (Cesare Geronzi).

Ministeri che una volta contavano: Interno ed Esteri per il prestigio; Sanità, Agricoltura, Trasporti, Poste e Telecomunicazioni per la clientela; Lavori pubblici e Industria per gli affari; Partecipazioni statali per il potere. Ora conta solo il ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) perché è l’unico che autorizza a spendere i soldi.

In passato i poteri del Mef erano divisi in quattro ministeri: Tesoro, che gestiva la spesa e il debito pubblico; Finanze, che si occupava delle entrate; Bilancio e Programmazione economica, che si occupava appunto del bilancio; Partecipazioni statali, che si occupava delle aziende di cui lo Stato era azionista.

Giulio Tremonti, quando era ministro dell’Economia: «Siete tutti ministri senza portafoglio».

Il Parlamento non può varare una legge per la quale non sia stata individuata un’adeguata copertura e che a sua volta non sia stata verificata e bollinata dalla Ragioneria generale dello Stato («che è il settore più chiuso e autoreferenziale dell’intero ministero dell’Economia e delle Finanze»).

«Il 99% delle decisioni di qualsiasi ministero, della presidenza del Consiglio e del Parlamento, di qualsiasi legge, decreto, regolamento, atto di indirizzo, nomina è soggetto al controllo del ministero dell’Economia e delle Finanze. Anche le leggi regionali».

A quanto ammonti il patrimonio non finanziario dello Stato italiano nessuno lo sa. Non si conosce il numero e il valore delle opere d’arte, ma neanche quello degli immobili (secondo il Fmi il patrimonio di Stato, Regioni ed enti locali sfiorerebbe l’80% del Pil). «Non sapendo bene cosa si ha, dove lo si ha e in che condizioni è, è difficile valorizzare ed è difficile vendere».

La spesa la autorizzano ma non la decidono i burocrati del Mef. La decidono governo, Parlamento, Regioni, Province, Comuni, Asl, Comunità montane, eccetera. Le stazioni appaltanti pare siano oltre 37mila, ciascuna con più centri di spesa.

«Al Mef spetterebbe il compito di gestire questa spesa. Di gestirla da due punti di vista: quello quantitativo e quello qualitativo. Formalmente i controlli sono ferrei: Ragioneria, Ufficio centrale di bilancio, Corte dei Conti. Nella sostanza lo Stato centrale non sa esattamente quanto spenda e per cosa il resto della pubblica amministrazione, se i beni e servizi forniti erano necessari e se lo erano in quella quantità e in quella qualità».

Non esiste un sistema informatico unico che, come per le entrate, consenta di sapere quanto sia stato speso (o quanto sia stato acquistata anche se non ancora pagato), da chi e perché.

La base del potere della Ragioneria generale e dei suoi uomini: il monopolio dei numeri. La litania che si sente in tutti i ministeri: «Solo la Ragioneria ha i suoi numeri, e non li dice a nessuno».

«La cultura che domina nelle stanze della Ragioneria generale dello Stato è contabile e amministrativa, non economica, e questo ha un effetto rilevante sia sulla valutazione dei singoli provvedimenti sia sulla stesura del bilancio e sulla sua credibilità. L’effetto è che spesso passano più facilmente provvedimenti di spesa che hanno coperture formali ma che poi si rivelano inutili o dannosi per i conti pubblici piuttosto che provvedimenti di sviluppo che quei conti potrebbero migliorarli».

Il Palazzo del ministero dell’Economia e delle Finanze, voluto ostinatamente da Quintino Sella in via XX Settembre, lungo la strada che unisce il Quirinale a Porta Pia, 300 metri di lunghezza, 120 di larghezza, due ettari di corridoi, 1200 uffici e altre 800 stanze per servizi di varia natura. Il simbolo: una massiccia scrivani che gli ebanisti biellesi regalarono al ministro e concittadino Quintino Sella, alla quale non ebbe il tempo di sedersi.

Non si capisce perché la Protezione civile e l’Editoria debbano stare nella presidenza del Consiglio.

La presidenza del Consiglio si allarga per 15 edifici, tra proprietà e affitto, nei quali lavorano 4.200 dipendenti organizzati in una girandola di uffici, dipartimenti, strutture, unità, commissioni. Non è chiara la distinzione degli uni dagli altri ma si sa che gli uffici sono 21, i dipartimenti 16, le strutture di missione 6, le unità due e le commissoni una. 21 poi tra enti, associazioni, fondazioni, spa, agenzie e organismi nei quali la presidenza del Consiglio allunga i suoi tentacoli. A guidare la macchina oltre 300 dirigenti (uno per ogni 14 dipendenti). Tutti numeri multipli rispetto alla Casa Bianca, Downing Strett, Eliseo, ecc.

I tecnici sono indissolubilmente legati all’Europa.

Gianni Letta non conosce l’inglese.