Serena Gentile, La Gazzetta dello Sport 26/9/2014, 26 settembre 2014
BRUNO CUCINELLI: «VORREI UN CALCIO UN PO’ PIU’ GARBATO»
Berlino 1978, camera 814. Quella volta, la prima in Germania alla Fiera del tessile Brunello ci era arrivato con poche lire, qualche cachemire colorato, due amici del paesello e tre fratelli milanesi amici degli amici, molto chic. Camera 814, neanche l’ombra di un compratore curioso. E ora che si fa? Giro di sguardi e ideona: chiudono la porta. E a turno, uno degli chicchissimi esce entusiasta: “Che bel cachemire, che collezione fantastica signor Cucinelli”. È la svolta. A fine giornata i sei ragazzi vestiti bene hanno venduto 11.800 pullover! Marketing all’italiana, roba d’altri tempi. Mentre lo racconta in Gazzetta, con la maturità dei 61 anni, quando è - come dicono a New York - il Best of the Best degli imprenditori stilisti dello Sportwear pregiato, gli scappa ancora da ridere. Camera 814. È lì che comincia la grande storia del cachemire color pastello di Brunello Cucinelli da Castel Rigone (Perugia) che fino a 15 anni aveva organizzato scherzi, raccolto olive con il babbo e ascoltato alla radio l’Inter di Sarti, Burgnich, Facchetti...
Sembra uno scherzo anche quando dice di tifare Inter e Juve insieme.
«Invece sono serissimo: da bambino non avevamo la tele in casa e sognavo ascoltando le imprese nerazzurre. Poi ho ceduto al fascino degli Agnelli, ma non dei manager che sono arrivati più tardi. Così sono tornato da Moratti, ma sono scappato un’altra volta quando a Milano è atterrato Mourinho. No, proprio non comprendo l’esigenza di offendere, umiliare l’avversario».
Il suo tifo è atipico quanto è raro il suo capitalismo dal volto umano: è un viaggio tra Milano e Torino inseguendo, anche nel calcio, lo stile?
«Esattamente. Se vinci serve ancora più garbo».
A occhio è in fase juventina, ma da poco.
«Da pochissimo (ride). Allegri mi piace. Come Pirlo, amabile, mai scomposto. Come mi piacevano Scirea, Baresi, Gigi Riva. Conte meno: ma perché è sempre arrabbiato? Uno segna e... bastano due pugni alla Messi, ecco: classe e talento. Da noi, a Castel Rigone erano vietati sputi, simulazioni, esultanze esasperate. E non che non mi piaccia il gioco duro. Gioco a calcio una volta a settimana, stopper, non sono un granché, vado a spallate e spintoni e se qualcuno si lamenta, vada a giocare a ping pong. Ma serve rispetto, educazione. In vita mia ho esonerato più allenatori che manager e solo per motivi disciplinari».
I suoi del Castel Rigone in trasferta pulivano gli spogliatoi dopo la doccia. Giocavano al sabato perché alla domenica si sta in famiglia. E hanno ricevuto più premi alle sconfitte che per le vittorie. Perfetti alieni in questo calcio maleducato. È per questo che, alla prima retrocessione in D, quest’anno, non ha più iscritto la squadra?
«Mio padre mi ha sempre detto: guai a te se non sei una brava persona. Nessun trauma, ma diciamo che io sono fatto diverso. Il nostro stadio non ha barriere. Premiare una sconfitta, quando si è dato tutto, è segno di stima e rispetto. Ci vorrebbe più educazione e basterebbe guardare all’Inghilterra... Così, adesso, preferisco lavorare all’oratorio laico contemporaneo: campus per bambini dai 6 ai 12 anni, italiani, ceceni, ebrei, palestinesi, israeliani. Giocheranno per la pace. Investirò mezzi e passione. Ospiteremo le famiglie, costruirò un altro stadio. Mancini e Baggio mi aiuteranno. Sarà un’esperienza bellissima. Pagare un calciatore più di un operaio mi avrebbe imbarazzato».
Già, i suoi dipendenti, i più felici d’Italia: 1270 per un fatturato di 322,5 milioni nel 2013, +15.5% rispetto al 2012. Non timbrano il cartellino, lavorano nel castello di Solomeo, incantevole. E guadagnano più di quanto vuole il contratto. Lei è una storia di successo, un’eccellenza italiana, ma rischia di rimanere un’eccezione.
«Non è vero. Credo vivamente nel nuovo Rinascimento italiano. È vicino, parliamone tra un anno. Il mondo riconosce ancora la qualità dei nostri manufatti e la nostra eleganza. Serve tornare all’amore per le regole, serve rispettarle. Essere credibili, veri, “dormire nello stesso tipo di letto dei soldati” diceva Giulio Cesare. Dare dignità morale ed economica al lavoro. Io credo davvero nel capitalismo umanistico».
Mentre tutto ci parla di spending review, Co.co.co, fallimenti, cassa integrazione, tasse: come si fa a seguirla?
«Veniamo da 30 anni di declino della civiltà, non siamo stati bravi a tramandare etica, cultura. Al contrario, abbiamo accettato che le relazioni personali mortificassero la meritocrazia, che la moralità pubblica toccasse livelli preoccupanti. Ma questo Papa ha indicato la strada e qualcosa già si muove: custodire il Creato, non sprecare il cibo, rispettare la persona, ha detto. Se ognuno di noi mettesse in pratica il 10% di questi insegnamenti, saremmo migliori».
Dal 6 politico al Geometri, a Seneca, Marco Aurelio e Alessandro Magno a memoria. Dalle olive al cachemire. Lei fa acrobazie incredibili.
«Sino a 25 anni ho passato la vita al bar a giocare a Rischiatutto con la Gazzetta (ero Mike Buongiorno, due compaesani erano fortissimi). E facevo l’alba a parlare di politica, filosofia, sesso e amore. Il bar è così. Un giorno m’è venuto in mente il cachemire da donna, lungo e colorato: non esisteva...».
Berlino 1978. E via alla conquista del mondo. Il gol più bello quello a Piazza Affari nel 2012 con rialzo del 49% in poche ore?
«Extra famiglia, sì. La quotazione in borsa cambia la percezione (se sprechi un bicchiere lo fai ai danni di altre persone), richiede credibilità (fare ciò che hai detto) ma dà visibilità e prospettive nuove, più vita alle aziende. Del resto si eredita un patrimonio, non la capacità di gestirlo. Mio babbo era un contadino, mia figlia vuole lavorare nel circo, anzi ora ha cambiato idea. Farà quello che desidera, l’importante è che lo faccia con garbo».