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 2014  settembre 26 Venerdì calendario

GLI INTERROGATIVI DEI PM SULLA LETTERA DI D’AMBROSIO

Lo hanno detto e ridetto: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano deve deporre al processo per la cosiddetta trattativa Stato-mafia. Perché loro, i pubblici ministeri che sostengono l’accusa in questo controverso processo (Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi) ritengono che il capo dello Stato debba chiarire alcuni aspetti. Sanno di doversi muovere in un ambito limitato. Non possono, per esempio, fare domanda alcuna sulle telefonate fatte dal consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio (morto d’infarto), al capo dello Stato nel momento in cui l’ex presidente del Senato Nicola Mancino, imputato in questo processo, chiedeva con insistenza un intervento sul coordinamento delle indagini sulla Trattativa.
Ma è pur sempre la vicenda che riguarda D’Ambrosio a interessare i pm palermitani: in particolare il contenuto della lettera che il consigliere giuridico del Quirinale ha inviato al capo dello Stato il 18 giugno del 2012, successivamente pubblicata per volontà dello stesso Giorgio Napolitano. C’è un passaggio che i magistrati palermitani vogliono approfondire: la frase in cui D’Ambrosio – turbato dalla pubblicazione sui giornali delle intercettazioni telefoniche dei suoi colloqui con Mancino, ricordando ciò che ha scritto su richiesta della sorella di Giovanni Falcone, Maria, a proposito del periodo 1989-1993, trascorso in servizio all’Alto commissariato per la lotta alla mafia e poi al ministero della Giustizia – scrive: «Lei sa che non ho esitato a fare cenno a episodi del periodo 1989-1993 che mi preoccupano e mi fanno riflettere; che mi hanno portato a enucleare ipotesi - solo ipotesi - di cui ho detto anche ad altri, quasi preso anche dal vivo timore di essere stato allora solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi». A quali indicibili accordi si riferisce D’Ambrosio? Forse alla Trattativa Stato-mafia? E il presidente della Repubblica è a conoscenza di queste ipotesi? Domande scontate cui Napolitano però ha già risposto nella lettera inviata al presidente della Seconda sezione della Corte d’assise Alfredo Montalto il 31 ottobre dell’anno scorso in cui scrive di non avere «alcuna conoscenza utile al processo, come sarei ben lieto di poter fare se davvero ne avessi da riferire». E nel successivo paragrafo della lettera il presidente ha poi spiegato: «L’essenziale è comunque il non aver io in alcun modo ricevuto dal dottor D’Ambrosio qualsiasi ragguaglio e specificazione circa le "ipotesi" - "solo ipotesi" - da lui "enucleate" e il "vivo timore", cui il mio Consigliere ha fatto generico riferimento sempre nella drammatica lettera del 18 giugno. Né io avevo modo e motivo di interrogarlo su quel passaggio della sua lettera. Né mai ebbi occasione di intrattenermi con lui su vicende del passato».
Con l’ordinanza di ieri la Corte presieduta da Montalto ha «preso atto della richiesta formulata dal pubblico ministero nell’udienza del 17 luglio 2014, affinché si proceda all’esame testimoniale del presidente della Repubblica, già ammessa con ordinanza del 17 ottobre 2013, sciogliendo la riserva formulata nell’udienza del 28 novembre 2013». Per Montalto «non si può di certo escludere il diritto di ciascuna parte di chiamare e interrogare un testimone su fatti rilevanti per il processo sol perché quel testimone abbia in una precedente deposizione testimoniale, escluso di essere informato dei fatti medesimi».