Chiara Maffioletti, Corriere della Sera 26/9/2014, 26 settembre 2014
ANASTACIA
A rriva sul palco quasi in punta di piedi, con l’Arena di Verona che è ancora un intreccio di cavi, casse e teloni. Tra poche ore il teatro sarà al completo per lo spettacolo «Intimissimi on ice Operapop» e i tecnici sono alle prese con i momenti più frenetici, prima del debutto. Ma poi Anastacia inizia a cantare e tutti, istintivamente, si fermano. La sua voce, potentissima e precisa, sembra poter andare esattamente dove lei vuole ed è incredibile pensare che questa donna raggiante e sicura di sé non avesse tra i suoi sogni di bambina quello di diventare, un giorno, una cantante. «I miei inizi sono stati come ballerina. Non avevo abilità tecniche ma mi piaceva ballare e ho iniziato a farlo in alcuni video clip. Un giorno un produttore mi ha chiesto: sai cantare? Ho risposto: non so, penso di sì». Fino a quel momento, vivere di musica era per quella minuta ragazza di Chicago qualcosa di troppo grande perfino per diventare un sogno. «Non ho mai pensato che cantare potesse diventare una carriera. Forse perché sia mio padre che mia madre lo avevano sempre fatto per passione ma avevano anche due lavori veri», dice, svelando quanto ancora oggi sia difficile per lei chiamare il suo un «lavoro», preferendo parlare di «benedizione». Puoi conoscere il successo a 30 anni, vendere 85 milioni di dischi nel mondo e non cambiare rispetto a chi sei sempre stata: «Non sono diversa da chi ero. Già da piccola non mi importava di dove fossi, ero sempre piuttosto contenta. Oggi provo la stessa energia». Non sembra una bugia visto il sorriso che l’accompagna sempre. E a chi le chiede un autografo lei regala anche un abbraccio. Se è così, dice, il merito è della sua famiglia: «È tutto per me. La famiglia è la base di ognuno di noi: si riconoscono subito le persone che hanno la fortuna di averne di felici, perché possono reggere tutto».
I pesi
La famiglia ti aiuta a togliere i pesi dalle spalle, ripete poi con la sicurezza di chi sa quello che dice. La cantante ha avuto due volte il cancro al seno e due volte è guarita. E mai le è successo di farsi quella che si pensa sia la domanda più naturale: perché io? «Ho sempre saputo come mai mi trovassi io in quella situazione: avevo l’opportunità di fare del bene a molte persone».
Anastacia non ha mai provato a nascondere la malattia e anche oggi l’argomento non la infastidisce. «È interessante come abbiano iniziato a definirmi una “combattente” — riflette —. In realtà per me si tratta di andare avanti nonostante capitino cose difficili. A volte queste cose sono così strane, così diverse, che affrontarle è il solo modo per superarle. Semplicemente, non ne conosci altri». Per questo, quando si parla di «combattere», la cantante lo fa «con un’accezione positiva. Per me significa continuare a pensare che nonostante il cancro, nonostante magari si rischi di morire, se invece poi se ne esce, alla fine, si può imparare qualcosa. Perché si impara da tutto, anche dalle cose negative».
Riflessione che è il dono di uno spirito ottimista: «Il mio modo di dare un senso alla vita è cercare di trasformare il negativo in positivo. È il mio più grande obiettivo». Ma come si fa? «Non è sempre facile, specie all’inizio. Quando scopri di essere malato ti viene da piangere e credo sia giusto lasciarsi andare alle emozioni più naturali. Ma se si resta fermi alle prime reazioni, non si supererà mai il momento. Credere che alla fine di tutto si possa arrivare a qualcosa di buono è indispensabile per andare avanti». Parla con calma, racconta che a differenza del primo tumore, quando subito dopo averlo scoperto ha iniziato «a mostrare alla gente quanto volessi sconfiggerlo, la seconda volta che ho avuto il cancro l’ho vissuta in modo differente. Mi sono concessa di prendermi cura di me». Ha dovuto comunque annunciarlo pubblicamente «anche perché avevo un tour che ho dovuto cancellare. Essere una cantante mi ha salvata: è rimasto il mio pensiero felice. Ero in ospedale e mi ripetevo: che bello, tra tre settimane sarò in studio a registrare. È più facile affrontare un brutto periodo se c’è all’orizzonte qualcosa che non vedi l’ora di fare». Una regola che vale sempre: «Avere degli obiettivi aiuta. Non importa se li devi spostare nel tempo... Io l’ ho fatto, a volte non li ho raggiunti, ma va bene comunque».
Gli obiettivi
Ora però, uno, importantissimo, l’ha ottenuto. Dopo cinque anni è uscito un suo nuovo disco, «Resurrection»: «Non avevo realizzato quanto mi mancasse scrivere: quante cose avessi da dire e che bisogno avessi di farlo. Sono fiera di condividere messaggi, emozioni e pezzi di vita con così tanta gente», dice con lo stupore di chi vive ancora una carriera mondiale come una magia: «Resto quella ragazza provinciale che indossava lenti colorate e chiedeva alla gente: ma davvero volete sentire proprio me? Sicuri?». La versione un po’ cresciuta della bambina che passava ore ascoltando i dischi di Barbra Streisand della madre, scrutando la copertina ben salda tra le sue manine. Ma senza mai sperare di vedersi, un giorno, al suo posto: «Non sono timida per indole ma lo divento se c’è la possibilità di essere rifiutata. L’idea di audizioni e provini per me era troppo spaventosa». Non c’è stato bisogno. Sarà anche per questo, forse, che oggi ama «vedere nuovi artisti che nascono, che prendono il loro posto nello spettacolo». Ma la virata super sexy di certe colleghe non la convince: «Danno un messaggio sbagliato. Bisogna sempre lasciare un po’ di spazio all’immaginazione. A questo punto nessuno si chiede più come siano nude certe cantanti: le abbiamo già viste tutti». La questione, piuttosto, «diventa capire quale è il limite. Ora non c’è più nulla che possano mostrare... eccetto le ossa», ride. Nessun problema con chi lo fa, ma «se fossi seduta vicino a una di queste ragazze insegnerei loro che la cosa più importante di tutte è rispettare sé stesse: è il solo modo per ottenere il rispetto degli altri. Come scegli di mostrarti conta. Non basta dire: è solo uno show, sono solo foto. Le persone non sempre capiscono».
Gli errori
E lei? Se tornasse indietro cambierebbe qualcosa della sua carriera? «No, ma il solo motivo per cui lo dico è che non avrei imparato quello che ora so che non devo fare se non avessi sbagliato la prima volta, facendolo. Succede di dover attraversare situazioni scomode per capire come non ritrovartici più». Alla fine di tutto quello che conta è ritagliarsi un insegnamento. «Avere rimpianti significa non perdonarsi. Ho lavorato sulla mia capacità di perdonarmi e oggi, anche se chiedo molto a me stessa, so farlo». In fondo è il solo modo per continuare a vedere in tutto qualcosa di bello.