Flavia Amabile, La Stampa 26/9/2014, 26 settembre 2014
QUANDO LA MAFIA MASSACRAVA I SINDACALISTI
Dovrebbero fare tutti come Antonella Azoti. All’indomani della strage di Capaci andò come tanti sul luogo della strage. Ma non le bastò lasciare un fiore o scrivere un biglietto come facevano tutti. Prese il microfono e urlò: «La mafia non uccide solo adesso, ha ucciso anche mio padre, Nicolò Azoti, il 21 dicembre 1946, e prima e dopo di lui ha assassinato tanti altri sindacalisti che lottavano insieme ai contadini per la libertà e la democrazia in Sicilia».
Fu come squarciare un primo velo su una realtà che nessuno più ricordava, la strage dei sindacalisti agricoli siciliani sterminati dalla mafia tra il 1944 e il 1948. Se la vita di Placido Rizzotto è stata raccontata al cinema e in tv, tutti gli altri sono stati rimossi. Sono quaranta-cinquanta persone uccise. Non si sa con precisione nemmeno il numero, figurarsi il resto. Per la prima volta un libro prova a ricostruire quello che accadde. Si intitola La strage ignorata ed è stato realizzato dalla Fondazione Argentina Altobelli e dalla Fondazione di studi storici Filippo Turati. Verrà presentato oggi in Senato.
Siamo nel pieno della Seconda guerra mondiale quando inizia questa pagina di storia che in pochi conoscono. La Sicilia viene liberata nell’estate del 1943, nel resto d’Italia si combatte, stanno per essere compiute le stragi più efferate, Marzabotto, Civitella in Chianti, le Fosse Ardeatine a Roma. Ma c’è anche un governo che prova a dare il via alle prime riforme come la legge Gullo che riconosce ai contadini riuniti in cooperative il diritto di ottenere in concessione le terre incolte e mal coltivate degli agrari. Per i contadini dovrebbe essere il momento della riscossa, in realtà inizia una dura stagione di lotte che in Sicilia acquista un carattere particolare. Come sottolinea Michelangelo Ingrassia, coordinatore del Comitato Scientifico della Fondazione Altobelli, nell’isola i nemici sono due, «il padronato agrario che negava i diritti sociali» e «la mafia che negava i diritti individuali».
Le terre siciliane sono ancora nelle mani dei grandi proprietari. «Nel 1946 – racconta il giornalista Dino Paternostro – la proprietà che superava i 50 ettari era pari al 39,3% della superficie agraria siciliana, mentre appena 282 proprietari possedevano il 10,6% della superficie agraria dell’isola. Secondo i dati del censimento del 1936, i 4/5 della popolazione addetta all’agricoltura non possedevano neanche un pezzo di terra o ne possedevano talmente poca da potersi considerare poveri. I contadini, quindi, incoraggiati dal nuovo quadro legislativo, cominciarono ad associarsi in cooperative e a presentare le domande di concessione per i feudi incolti o mal coltivati. Le loro richieste, però, rimasero inevase per mesi e mesi sui tavoli delle Commissioni provinciali che avrebbero dovuto esaminarle. Fu per protestare contro questi ritardi che decisero di occupare simbolicamente le terre»,
A organizzare le lotte sono i partiti democratici e i sindacati, da poco ricostituiti dopo il fascismo. La strage dei sindacalisti inizia il 5 agosto 1944 con l’assassinio di Andrea Raja, comunista, componente di una commissione di controllo dei granai del popolo. Provano a descriverlo come un poco di buono, donnaiolo e spesso «alticcio», ma lo stesso maresciallo della stazione dei carabinieri di Casteldaccia, dove avviene l’omicidio, finisce per ammettere che il motivo va cercato nella sua attività sindacale. Nessuno pagherà per la morte di Raja e la questione viene messa presto a tacere.
L’ultimo morto di mafia raccontato nel libro è Calogero Cangialosi, ucciso l’1 aprile 1948 a Camporeale in provincia di Trapani. Segretario della Camera del Lavoro, 41 anni e quattro figli, viene trucidato da decine di colpi sparati a pochi metri da casa. Tra depistaggi, indagini svogliate, insabbiamenti, assoluta impunità, si va avanti così, omicidio dopo omicidio, per cinque anni. A morire sono sindaci, farmacisti, contadini, politici. In pochi hanno un funerale perché agli ammazzati, per giunta comunisti, in quegli anni deve bastare un po’ di acqua benedetta lungo la strada per il cimitero.
«Fu una vera e propria guerriglia contro i lavoratori, nel cui corso caddero a decine non solo gli attivisti e i dirigenti sindacali, ma quegli elementi che, in qualche modo, solidarizzavano con la lotta popolare contro il feudo», scrive la Cgil siciliana in un documento presentato alla prima commissione Antimafia nell’ottobre 1963. Parole che cadono nel vuoto. E ora che finalmente si prova a restituire la dignità della storia ai morti di quegli anni, almeno si sa che non è stata una battaglia combattuta invano: 500 mila ettari di terreno passarono di mano, i latifondi scomparvero. Le ingiustizie, la mafia, l’omertà e l’indifferenza, no.
Flavia Amabile, La Stampa 26/9/2014