Arturo Zampaglione, la Repubblica 26/9/2014, 26 settembre 2014
“MA CON I RAID OBAMA STA FACENDO IL LAVORO SPORCO AL POSTO DI TEHERAN”
[Intervista a Daniel Pipes] –
NEW YORK.
Un gioco delle tre carte? Un abile tentativo di depistaggio? Daniel Pipes pensa di sì. Dalla solenne tribuna del Palazzo di vetro il presidente dell’Iran Hassan Rohani ha appena finito di denunciare gli Stati Uniti per i raid contro l’Is. Il presidente dell’Iran ha chiesto invece che siano i Paesi limitrofi a guidare le operazioni contro gli estremisti e ha fatto capire che ogni aiuto di Teheran è legato alla soluzione del contenzioso nucleare. «Ma quello di Rohani — ribatte a caldo Pipes — è solo un modo, da un lato per distrarre l’attenzione dal problema numero uno, che resta l’ambizione iraniana di acquisire armi atomiche, dall’altro per far fare al Pentagono il lavoro sporco contro i jihadisti». Presidente del Middle East Forum, autore di una dozzina di libri di politica internazionale, Pipes, 65 anni, è un “falco” per antonomasia. Legato ai repubblicani, respinge l’etichetta “neo-con” preferendole quella di «conservatore a tutto tondo». Qualcuno lo chiama «islamofobico»: di sicuro appoggia Israele in ogni istanza e chiede la distruzione degli impianti nucleari iraniani. D’altra parte Pipes è anche critico dell’azione di Barack Obama contro l’Is: «Non è una guerra che gli Stati Uniti dovrebbero combattere». Posizioni più diffuse di quel che si pensa nella destra americana.
Perché pensa che sia uno sbaglio l’offensiva militare americana contro l’Is?
«Perché i jihadisti non rappresentano per noi una vera minaccia: sono solo 30-35mila, sventolano mitra e bandiere sui camioncini, ma non sanno neanche adoperare le armi sofisticate americane che hanno trovato negli arsenali iracheni. È vero che la loro conquista di Mosul è stata una sorpresa: ma è stata una prova più della debolezza dell’esercito iracheno, che non della loro forza militare. Certo, l’avanzata dell’Is è un pericolo per gli altri Stati della zona, a cominciare dall’Iran: ma sono loro che avrebbero dovuto darsi da fare, non Obama. Il quale a mio avviso avrebbe dovuto limitarsi ai soli interventi umanitari a favore di cristiani e yazidi».
Ritiene dunque che gli Stati Uniti stiano facendo un piacere proprio al presidente Rohani?
«I leader iraniani si fregano le mani. Già con l’invasione del 2003 facemmo loro un grande piacere, smantellando in quattro settimane il regime di Saddam Hussein contro il quale avevano combattuto inutilmente per otto anni. Adesso ci risiamo. L’Is minaccia gli equilibri dell’area? L’Is attacca il governo amico di Bashar al-Assad? Gli iraniani dovrebbero essere in prima fila, invece siamo noi a fare il lavoro sporco: per giunta male, perché senza truppe di terra i risultati saranno modesti».
All’Onu il presidente Rohani non ha escluso una cooperazione nella lotta contro l’Is, ma ha posto delle condizioni.
«Rohani è bravissimo: sfoggiando grandi sorrisi e qualità diplomatiche sembra molto diverso dal suo predecessore, Mahmoud Ahmadinejad. Ma non è così. E ripeto: gli iraniani hanno più da temere per l’Is e noi non dovremmo pagare alcun prezzo, tanto meno con concessioni sul nucleare».
Al Palazzo di vetro si parla di un possibile compromesso: l’Iran terrebbe le centrali, senza così perdere la faccia, ma smantellerebbe le tubature, bloccando le operazioni di arricchimento. Lei ci crede?
«No. Come la Corea del Nord, Teheran vuole a tutti i costi possedere l’arma nucleare. Le trattative serviranno a guadagnare tempo, ma non risolveranno la questione. Washington ha ormai messo nel cassetto i piani per un attacco aereo: peccato. Gli unici che possono ancora farlo, forti delle loro esperienze in Iraq e Siria, sono gli israeliani. E non hanno certo abbandonato l’idea».
Arturo Zampaglione, la Repubblica 26/9/2014