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 2014  settembre 26 Venerdì calendario

VIVERE A RAQQA AI TEMPI DEL CALIFFATO TRA DONNE IN NERO E TAGLIATORI DI TESTE

Al riparo del niqab, una donna filma le strade di Raqqa in Siria, la capitale del califfato. È temeraria: la pattuglia dei bellimbusti sorveglianti della virtù la chiama per ammonirla che il suo velo lascia intravedere il viso, e lei si scusa docilmente. La sua camera mostra gli armati ovunque, le donne dentro i sudari neri, il divieto di ascoltare musica, e poi le conversazioni al centro Internet tra donne venute dalla Francia a trovar marito fra questi tagliatori di teste e le famiglie disperate: le notizie della tv «sono esagerate», dicono, e loro non torneranno mai, «perché qui stanno bene ».
Dopo aver visto il breve filmato riguardate, se non l’avete fatto, quello, lungo 43 minuti, che il reporter di Vice News Medyan Dairieh ha girato “embedded” con gli uomini dell’Is a Raqqa. È come il reciproco: l’autrice anonima veniva chiamata all’auto dei controllori delle virtù, qui il reporter è nell’auto e filma le persone chiamate per essere ammaestrate e ammonite. Si vedono lì, prima che cominciasse la distilleria di decapitazioni di occidentali, le teste mozzate dei militari siriani, infilzate sull’inferriata del giardino pubblico, e in terra, fra i piedi dei passanti, i corpi decollati.
Ci sono i bambini-soldato, il bagno nell’Eufrate di “Abdullah il belga” che insegna al suo bambino a rispondere come si deve alla telecamera: Vuoi tornare in Belgio? No, perché sono infedeli. Vuoi essere combattente della jihad o martire suicida? Combattente della jihad.
Perché uccidiamo gli infedeli? Perché uccidono i musulmani. Tutti?
Tutti. Anche in Europa? Anche.
C’è il prossimo che dice: «Prenderemo le vostre donne come avete preso le nostre, renderemo orfani i vostri bambini come avete reso i nostri», e si commuove. C’è la festa per l’avvento del Califfato, il Tempo che si compie. La musica è vietata, tranne le belle nenie: «Oh Abu Bakr al-Baghdadi, tu, che atterrisci i nemici. Le belle vergini ti invocano, arruolami come martire…». Il reporter è ospitato nel giro dell’hisbah, il controllo dell’osservanza della sharia. Chiamano un giovane e gli dice come far vestire più modestamente sua moglie, il velo più spesso, i piedi coperti. È tua moglie o una merce da esporre anche per gli altri? «Senz’altro», assicura lui. Spiegano: prima con le buone, poi… C’è anche l’esposizione di un uomo crocifisso nella pubblica piazza. Nel tribunale uno di questi giudici chiarisce: ce ne fottiamo degli standard del diritto internazionale, noi badiamo a Dio.
Ammirati per l’autrice anonima del filmato, costernati per le donne di Raqqa, addolorati per le famiglie delle espatriate, viene comunque da dire una cosa difficile. Il numero «senza precedenti» di occidentali — le femmine con un più forte richiamo alla totalità della devozione religiosa, tradotta nella sottomissione al marito d’accatto — che si arruolano nella jihad, allarmante com’è per la minaccia di riportare indietro le imprese del terrore, non è così difficile da capire, in un mondo in cui ogni fanatismo si procura un’udienza, e chi non si accontenti del selfie di tutti se lo vada a fare col coltello alla gola di un ostaggio, e prendere le copertine. È comunque più facile da capire del delirio diffuso, al riparo dai rischi di chi parte davvero, secondo cui il terrorismo dello Stato Islamico, o di Boko Haram, o delle innumerevoli filiali, è l’ennesima invenzione di un occidente smanioso di ricominciare a bombardare, e specialmente degli “americani” e di Obama, l’uomo più svogliato di bombe mai arrivato alla presidenza degli Stati Uniti.
Gli smascheratori di cospirazioni dell’Occidente cui appartengono sono il vero colossale interrogativo. Perché le colpe dell’occidente, in solido e in particolare dei suoi potenti, sono enormi e non smettono di accumularsi, e le falle della sua democrazia altrettanto, e la denuncia e l’impegno per contrastarle sono il sale della vita; e però viene il momento di prendere una vecchia bilancia, di quelle con due piatti, e mettere su un piatto questo occidente infedele a se stesso di fatto e perfino per definizione, e sull’altro la vita delle bambine escluse dalla scuola nell’Afghanistan talebano, delle donne attente a non lasciar intravvedere il viso a Raqqa («perché ad Allah dispiace», e ai suoi vigili urbani soprattutto), dei patiboli e delle patenti d’auto di Riyad, dei ginnasi del nord della Nigeria, della servitù asiatica negli emirati, delle ragazze cristiane e yazide di Mosul, degli omosessuali in ciascuno di questi paesi e in decine di altri ancora, metterlo su questo secondo piatto — e finalmente decidere su quale piatto accomodare se stessi e i propri figli e nipoti di nipoti. Che un dj inglese vada a Mosul a castigare chi si fa prendere in castagna ad ascoltare musica non è tanto sorprendente, dato che in cambio può diventare la star dello spettacolo più antico del mondo, dopo la sottomissione delle donne: il taglio delle teste del nemico. La pazzia sta nella piccola, risentita indulgenza verso teste tagliate e musica vietata da parte di chi resta.
«I nostri media vogliono lavarci il cervello e convincerci ad accettare i bombardamenti», protestano persone squisite, scandalizzate più che dalle decapitazioni dallo spazio dato alle decapitazioni. Con questo fuoco gioca, all’altro capo, chi dichiara mera ipocrisia rifiutarsi di pronunciare in tono squillante la parola guerra, o addirittura guerra di religione, e invocare invece il nome, e i fatti, di una polizia internazionale. «Oriana Fallaci aveva ragione…». Non ce l’aveva, ma la risposta al suo orgoglioso furore non stava e non sta nella negazione della ferocia e della bruttezza del fanatismo islamista, in cui consiste un aggiornato tradimento dei chierici.
Adriano Sofri, la Repubblica 26/9/2014