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 2014  settembre 25 Giovedì calendario

LA SFIDUCIA TEDESCA SCHIACCIA L’EURO

La fiducia degli imprenditori tedeschi, misurata dall’indice Ifo, scende ai minimi dall’aprile 2013 e l’euro va sotto quota 1,28 dollari, ai livelli più bassi dal luglio dell’anno scorso. L’indebolimento dell’euro è una buona notizia, visto che sono soprattutto le imprese votate all’export ad accusare un calo di fiducia. Allo stesso tempo, la discesa dell’Ifo aumenta le pressioni sulla Bce affinché si decida finalmente a varare un vero Quantitative easing (Qe), ovvero un massiccio piano d’acquisto di titoli di Stato. Ipotesi che è però vista come il fumo negli occhi dal presidente della Bundesbank Jens Weidmann e da vasti settori della politica tedesca. Il quadro europeo è quindi sempre più complicato, soprattutto perché il malessere si sta estendendo alla Germania. Una situazione che dovrebbe portare a ulteriori indebolimenti dell’euro, la cui discesa da maggio, quando sfiorava quota 1,40 dollari, è stata rapidissima (-8,3%). «Siamo assolutamente ribassisti sull’euro», ha detto Jennifer Vail di US Bank Wealth Management. «Un tempo la Germania era una stella brillante, ma ormai non è più così».
L’indice Ifo dunque è sceso a settembre per il quinto mese consecutivo, a 104,7 punti da 106,3, risultando inferiore anche al consenso posto a 105 punti. Lo spaccato è altrettanto deludente, visto che la valutazione sulle aspettative a sei mesi è scesa ai minimi da dicembre 2012 a 99,3 punti da 101,7, mentre quella sulle condizioni attuali è passata da 111,1 a 110,5 punti. «L’economia tedesca è divisa in due», ha osservato Carsten Brzeski, economista di Ing, sottolineando che a «una forte attività domestica» fa da contrappeso quella diretta all’esterno «stagnante». Questo perché «l’incremento delle tensioni geopolitiche e l’indebolimento dei mercati emergenti, inclusa la Cina, gettano ombre sull’export». Inoltre, il rallentamento della domanda estera sta cominciando a impattare su quella interna. Secondo Brzeski, quindi, la fiducia delle imprese tedesche evidenzia che «la maggiore economia dell’Eurozona ha raggiunto una fase» in cui rischia di cadere nella stagnazione. Dello stesso avviso è Andreas Rees, economista di Unicredit, per il quale l’attività della Germania «si fletterà fortemente nel quarto trimestre» con una crescita virtuale pari a zero, anche se poi non calerà ulteriormente in modo brusco nel 2015. Detto questo, secondo Rees «l’euro più debole e la ripresa degli Usa forniranno una rete di sicurezza per le imprese tedesche nel medio periodo». Filippo Diodovich, strategist di Ig, ha invece osservato che il Consiglio direttivo della Bce si riunirà giovedì della prossima settimana e potrebbe esserci tensione fra i suoi membri, visto che il meeting «arriverà in un momento di dati macroeconomici deludenti e subito dopo la prima asta Tltro», che non ha soddisfatto i mercati. Tuttavia, nonostante il momento difficile che sta attraversando l’economia di Eurolandia, per Diodovich i falchi tedeschi della Bce «continueranno a ostacolare» nuove misure espansive della Bce. Di parere contrario Brzeski: «Almeno per la Bce l’Ifo è una buona notizia», ha osservato, in quanto «dovrebbe zittire le proteste tedesche contro l’ultimo programma di acquisti e il possibile QE futuro». Secondo Joerg Kraemer, economista di Commerzbank, la lettura dei dati è invece «particolarmente problematica per la Bce. La delusione va a sostegno degli esponenti del consiglio direttivo che non vogliono acquistare solo abs e covered bond, ma anche titoli governativi su larga scala». Per Kraemer, «alla fine la Bce probabilmente acquisterà titoli di Stato. La mossa però non aiuterà l’economia, che farà fatica per molti anni».
Sempre ieri è tornato a parlare Mario Draghi, che non ha però fornito indicazioni illuminanti. Il presidente della Bce, intervistato da radio Europa 1, ha sottolineato che «il peggior nemico per l’Europa è la disoccupazione», che è causata da una «mancanza di fiducia all’interno dei Paesi e tra i vari Stati, che va combattuta rafforzando gli investimenti pubblici e privati». Secondo Draghi, in Eurolandia non ci sono «rischi di deflazione ma solo un’inflazione molto bassa». «Ho detto più volte che la ripresa è modesta, debole, mal distribuita e fragile, ma non siamo in recessione», ha quindi assicurato. Parole, queste, che non aprono ma nemmeno chiudono la porta a un futuro lancio di un piano di acquisti di titoli di Stato. Evidentemente, le divisioni all’interno del consiglio direttivo sono molto profonde.
Marcello Bussi, MilanoFinanza 25/9/2014