Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 25 Giovedì calendario

DEL GOVERNO RENZI, IL DIRETTORE DEL CORSERA SALVA «L’OTTIMO PADOAN», MA DEV’ESSERGLI SFUGGITO CHE È UN TIFOSO DEI METODI DELLA TROIKA

Nella pagella piena di insufficienze che il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, ha dedicato ieri al governo di Matteo Renzi, l’unico a salvarsi è «l’ottimo Padoan», ministro dell’Economia, anche se il suo «ruolo è svilito dai troppi consulenti di Palazzo Chigi».
C’è però un punto debole, a mio avviso, nell’analisi di De Bortoli: a conclusione del suo editoriale, si fa interprete dell’Italia che non vuole saperne della Troika, vale a dire del triumvirato Fmi-Bce-Unione europea. Su quest’ultimo punto, nulla da dire. Anzi: dovunque è intervenuta per rimettere a posto i conti pubblici, la Troika ha applicato le politiche di austerità con il guanto di ferro, provocato in modo sistematico una recessione, fatto salire alle stelle i disoccupati, distrutto il welfare sociale (pensioni e sanità) e ridotto milioni di persone in miseria.
È di pochi giorni fa la notizia che la cura da cavallo imposta dalla Troika a Irlanda, Grecia e Spagna è costata 6 milioni di disoccupati in più, per non dire del resto. Ma poiché il pil di questi Paesi ha registrato di recente una lieve risalita, ecco un improvvisato «Troika fan club» che ne ha immediatamente elogiato i metodi feroci, fino ad auspicarne l’avvento anche in Italia.
Bravo De Bortoli a dirsi contrario. E noi siamo con lui. Ma come si fa a non ricordare che appena un mese fa il presidente della Bce, Mario Draghi, sollecitava l’Italia a compiere «una cessione di sovranità» per riuscire a portare a compimento le tante riforme promesse, e mai fatte? In concreto, era un invito a mettersi nelle mani della Troika.
Sul premier, quelle parole hanno avuto l’effetto del peperoncino, e si è visto il risultato: Renzi ha immediatamente cambiato passo, e per riformare il lavoro ha cancellato l’articolo 18, che assicurava a vita il posto di lavoro, mettendosi contro la sinistra cigiellina del suo Pd. Ma questo è stato solo l’inizio. Il resto dovrebbe materializzarsi nella legge di stabilità (ex legge finanziaria), che deve essere pronta per il 15 ottobre, un testo di legge vero (e non un tweet) da sottoporre all’esame dell’Europa. Che cosa ci sarà dentro?
A giudicare dall’intervista che il ministro dell’Economia, Padoan, ha rilasciato ieri a Repubblica, avremo nell’ordine: 1) rispetto del paletto di Maastricht del 3% nel rapporto deficit-pil, ma nessuna riduzione del debito (che è al 135,6% del pil), come invece richiederebbe il Fiscal Compact; 2) riduzione del cuneo fiscale a carico delle imprese, mediante tagli di spesa; 3) semplificazione delle regole per favorire gli investimenti, più alcune riforme strutturali, non meglio precisate, che si aggiungeranno a quella del lavoro.
Ma quali riforme? E dove si troveranno i 20 miliardi necessari per finanziare le numerose promesse di Renzi (bonus da 80 euro da estendere, assunzioni di insegnanti, investimenti su infrastrutture e scuole, e così via)? Su questi due punti, buio pesto. «Vedremo, valuteremo. Sarà una questione di scelte politiche» si limita a dire Padoan.
Messa così, anche quella di Renzi-Padoan rischia di essere una finanziaria da «politica del cacciavite», come disse, della sua, l’ex premier Enrico Letta, che si accontentava dei piccoli passi. Rispettare Maastricht, ma non il Fiscal Compact, sperando che l’Europa chiuda un occhio come fa con la Francia, sa tanto di furbata politica.
Ma se così fosse, attenzione: potrebbe anche essere un invito tacito (forse complice) ad aprire la porta alla Troika, per manifesta inconcludenza. Tanto più che questa ipotesi non sembra spaventare affatto «l’ottimo Padoan». Anzi. Quando l’intervistatore, Federico Fubini, lo stuzzica sui diversi metodi in atto per contrastare la crisi, da una parte l’uso keynesiano della spesa pubblica per sostenere la ripresa (Stati Uniti), e dall’altro l’austerità che Berlino ha imposto all’Europa, Padoan non prende una posizione netta a favore della prima o della seconda ricetta, ma dice che c’è «un fatto nuovo». Ovvero che i Paesi del Sud Europa «sotto programma, cioè con la Troika, di recente hanno imboccato la strada di una crescita anche piuttosto vivace rispetto alle attese. C’è chi indica questa crescita come prova che le loro strategie hanno avuto successo». Più avanti: «In questi Paesi entra in azione l’effetto delle riforme fatte. Una lezione per l’Italia è che le riforme servono a consolidare la crescita».
Dunque, porte aperte alla Troika anche per il nostro paese? No, risponde Padoan, «l’Italia non è paragonabile a questi altri Paesi. Siamo la seconda manifattura d’Europa e, al netto degli interessi, il bilancio pubblico è in surplus. Ma restano gli ostacoli alla crescita, pervasivi, che vanno aggrediti con le riforme». Come dire: copiamo al più presto i metodi aggressivi della Troika, con riforme simili a quelle fatte in Grecia, Spagna e Irlanda, e la Troika non potrà scendere più a Sud di Vipiteno.
Spero vivamente di sbagliarmi, ma tra Keynes (Stati Uniti) e l’austerità (Berlino), Padoan sembra avere scelto una terza strada, che imita la Troika, ne elogia i metodi, e potrebbe infine spianarle il terreno (che ne pensa De Bortoli?). Resta solo da scoprire se Renzi è d’accordo, oppure se non l’ha capito. Il 15 ottobre, ne sapremo di più.
Tino Oldani, ItaliaOggi 25/9/2014