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 2014  settembre 25 Giovedì calendario

SALUTI DA VIENNA, O DUCE

A osser­varla dal pre­sente, la cir­co­la­zione cul­tu­rale dell’entre-deux-guerres non smette di stu­pire. Incroci, intrecci, incon­tri ben più arti­co­lati di quanto lasce­rebbe sup­porre la divi­sione ideo­lo­gica dell’Europa o la net­tezza delle sue lotte poli­ti­che, e che richie­dono una paziente opera di rico­stru­zione per evi­tare le sem­pli­fi­ca­zioni delle let­ture pro­so­po­gra­fi­che e gli ana­cro­ni­smi di quelle a sfondo pole­mico e scan­da­li­stico.
Tra i nomi che non ci si aspet­te­rebbe di tro­vare col­le­gati, vi sono quelli di Sig­mund Freud e di Benito Mus­so­lini. A unirli, è una dedica che il padre della psi­coa­na­lisi appone – prima di inviarla al duce del fasci­smo – su una copia dell’ultimo libro pub­bli­cato: Warum Krieg? (Per­ché la guerra?), il car­teg­gio sulla guerra intrat­te­nuto con Albert Ein­stein su sol­le­ci­ta­zione del Comi­tato per­ma­nente delle let­tere e delle arti della Società delle Nazioni. «A Benito Mus­so­lini coi rispet­tosi saluti di un vec­chio che nel deten­tore del potere rico­no­sce l’eroe della civiltà. Vienna, 26 aprile 1933»: una frase impe­gna­tiva, che ha occu­pato i bio­grafi e gli ese­geti del medico vien­nese fin dagli anni cin­quanta e che viene perio­di­ca­mente ripro­po­sta dai suoi detrat­tori come pre­sunta testi­mo­nianza di sim­pa­tie filo­fa­sci­ste o di un più gene­rico oppor­tu­ni­smo (venato di qua­lun­qui­smo) che ne avrebbe carat­te­riz­zato il rap­porto con i potenti. L’omaggio di Freud, in realtà, non rap­pre­senta un gesto gra­tuito. È la rispo­sta a un dono del dram­ma­turgo ita­liano Gio­vac­chino For­zano, in visita a Vienna con la figlia e il suo psi­coa­na­li­sta Edoardo Weiss, che ha chie­sto al mae­stro una con­su­lenza su alcuni punti con­tro­versi della rela­zione tera­peu­tica con la pro­pria paziente: un esem­plare della tra­du­zione tede­sca della tra­ge­dia Campo di mag­gio, dedi­cato dai suoi autori (For­zano e Mus­so­lini) «a Sig­mund Freud, che ren­derà migliore il mondo, con ammi­ra­zione e rico­no­scenza, Vienna, 26 aprile 1933».
Resti­tuito al con­te­sto, il com­por­ta­mento di Freud risulta meno com­pro­met­tente che a una let­tura estem­po­ra­nea, come quella con­dotta con pro­po­siti dif­fa­ma­tori da Michel Onfray in Le cré­pu­scule d’un idole. L’affabulation freu­dienne (Paris, Gras­set, 2010). È quanto sostiene Roberto Zap­peri (Freud e Mus­so­lini. La psi­coa­na­lisi in Ita­lia durante il regime fasci­sta, Milano, Franco Angeli, pp. 140, euro 18), che dello scam­bio di libri avve­nuto nello stu­dio in Berg­gasse 19 ricom­pone pun­tual­mente la sto­ria, avan­zando pre­ziose rifles­sioni sulla cul­tura poli­tica dell’autore dell’Inter­pre­ta­zione dei sogni e, al tempo stesso, sull’attitudine del regime fasci­sta nei con­fronti della psi­coa­na­lisi. La dedica a Mus­so­lini rin­via, in primo luogo, ai limiti e alle incon­gruenze dell’orientamento liberal-conservatore del suo esten­sore, oscil­lante tra la pre­oc­cu­pa­zione di atte­nuare il signi­fi­cato paci­fi­sta del volu­metto scritto assieme a Ein­stein e l’intenzione di valo­riz­zare la pro­te­zione offerta dall’Italia al can­cel­liere Dol­ffuss, al cui orien­ta­mento anti­so­cia­li­sta Freud affida illu­so­ria­mente il com­pito di sal­va­guar­dare l’indipendenza del pro­prio paese natale dalle mire annes­sio­ni­sti­che di Adolf Hitler e dai colpi di mano dei nazi­sti austriaci.
Se messe in rela­zione con la pro­fonda dif­fi­denza con cui il fasci­smo guarda al movi­mento psi­coa­na­li­tico inter­na­zio­nale e ai suoi espo­nenti ita­liani, le parole rivolte al capo del fasci­smo suo­nano – in secondo luogo – come un ten­ta­tivo di non nuo­cere ai pro­pri disce­poli e ai pro­pri col­le­ghi oltre fron­tiera; ten­ta­tivo fal­li­men­tare, dal momento che non riu­scì a evi­tare né la con­danna delle teo­rie sul modo di essere incon­scio della mente né l’ampliamento e l’aggressività del fronte anti­freu­diano, sal­da­mente capi­ta­nato dal gesuita Pie­tro Tac­chi Ven­turi, né, ancora, l’emissione (all’inizio del 1930, da parte della Que­stura di Roma) di un vero e pro­prio man­dato di cat­tura con­tro Freud, «ele­mento sospetto da rin­trac­ciare e da fer­mare» in caso di per­ma­nenza o di pas­sag­gio sul suolo ita­liano.
Roberto Zap­peri ci parla, infine, di un terzo ordine di moti­va­zioni che influi­scono sulla postura dello psi­coa­na­li­sta vien­nese: la potenza e l’ascendente ad ampio rag­gio del mito di Mus­so­lini, che eser­cita il pro­prio potere di fasci­na­zione tra gli intel­let­tuali e gli arti­sti di tutta Europa e tra­sver­sal­mente agli schie­ra­menti o alle appar­te­nenze di par­tito. Il cari­sma del capo: con­tra­ria­mente a quanto ci si potrebbe aspet­tare da un pen­sa­tore abi­tuato al lin­guag­gio e alla tem­po­ra­lità del mito, nem­meno Freud ne è immune, pur non nutrendo alcuna sim­pa­tia per il pro­getto poli­tico e per le isti­tu­zioni fasci­ste o la ben­ché minima volontà di trat­tare, da ebreo, per la pro­pria sal­vezza o destino indi­vi­duale.
Per­so­na­lità lun­gi­mi­rante e rivo­lu­zio­na­ria, egli rimane un uomo pro­fon­da­mente anco­rato al pro­prio tempo; un uomo a cui è pos­si­bile impu­tare una visione con­ser­va­trice ed ecces­si­va­mente sem­pli­fi­cante della poli­tica ma non incli­na­zioni tra­sfor­mi­sti­che e col­lu­sioni con il tota­li­ta­ri­smo fasci­sta, che – in patria come all’estero – ne ha rap­pre­sen­tato un irri­du­ci­bile avver­sa­rio e un con­vinto persecutore.