Luigi Grassia, La Stampa 24/9/2014, 24 settembre 2014
IMPORT-EXPORT E INVESTIMENTI A RISCHIO DECINE DI MILIARDI
La crisi in Ucraina mette in gioco molte vite umane e il destino di diversi popoli, ma sul piatto ci sono anche tanti soldi: le sanzioni e le contro-sanzioni sono una bomba a orologeria sotto all’interscambio fra Unione europea e Russia, che l’anno scorso era arrivato a 500 miliardi di euro (mentre gli Stati Uniti rischiano poco, circa 18 miliardi). Fra i Paesi più esposti c’è proprio l’Italia: l’import-export con la Russia nel 2013 aveva raggiunto il record di 30,8 miliardi di euro (ma quest’anno è in forte calo). Da verificare anche il destino degli investimenti italiani in Russia (pari a 7 miliardi cumulati negli ultimi vent’anni) e di quelli russi in Italia, che ammontano a 3 miliardi.
Partiamo dagli investimenti russi, che sono al centro della cronaca anche giudiziaria. L’elenco è lungo: c’è il gruppo petrolifero Lukoil che ha preso la raffineria di Priolo in Sicilia, c’è la Rosneft entrata nel capitale della Saras e della Pirelli, c’è la siderurgica Severstal che possiede l’ex fonderia Lucchini di Piombino, c’è la Vimpelcom (telefonia) che si è comprata la Wind, c’è Aleksandr Knaster che ha in portafoglio il 5% dell’Unicredit, e c’è il «re della vodka» Roustam Tariko che si è bevuto la Gancia. Altri affari sono in lista d’attesa: non contento di essere nel cda di Pirelli, Andrey Kostin vuole comprare il 60% di Cavalli e Strolli Oro. Ma che cosa succederà adesso? Se Kostin, che è nella lista nera dei big russi da sanzionare, si spaventerà o no per il rischio di farsi congelare i capitali in Italia com’è successo a Rotberg, non è dato sapere al momento; ma il presidente di Confindustria Russia, Ernesto Ferlenghi, fa notare che «quest’anno i turisti russi in Italia sono diminuiti del 25% e questo è un brutto colpo, visto che i russi sono i visitatori che spendono di più. Credo che d’ora in poi un investitore russo prima di indirizzarsi sull’Italia si farà domande non minori di quelle di un turista russo».
In Russia le aziende italiane presenti sono Eni, Enel, Fiat, Finmeccanica ma l’elenco è lunghissimo; in totale 500 imprese. Ferlenghi fa diverse considerazioni: «Le aziende italiane in Russia sono poche. Quelle tedesche sono 6 mila. Non solo, ma i tedeschi stanno investendo altri miliardi, ovviamente nei settori non colpiti dalle sanzioni, dalla petrolchimica ai trasporti, per guadagnare altre quote di mercato russo. Lo stesso fanno i cinesi e turchi, che aspirano a sostituire le nostre imprese. Invece i nostri investitori sono prudenti, dicono “la situazione adesso non è chiara, aspettiamo di vedere fra un anno”».
Se i nostri si fanno sfuggire occasioni, in compenso non fuggono: «I grandi gruppi italiani hanno una presenza consolidata in Russia, sono qui da 50 anni, dalla Guerra fredda, non se ne andranno». E non c’è aria di smobilitazione nemmeno per il gasdotto South Stream, progettato per aggirare l’Ucraina (l’Eni è azionista, la Saipem lo costruisce): «È un mega-progetto con dentro grandi nomi europei, non ho sentore di discussioni per non fare il South Stream».
Quanto all’export, le contro-sanzioni imposte dalla Russia costeranno all’Italia minori guadagni per 1,5 miliardi nel 2014. Ma Ferlenghi osserva: «Finora i russi sono stati molto chirurgici. Ci hanno danneggiato, ma poco. Certo gli agricoltori colpiti stanno perdendo molti soldi. Ma Mosca ha evitato di bandire i vini e altri prodotti italiani pregiati. E nel tessile ha proibito sì le importazioni dall’Italia, ma limitatamente alle aziende pubbliche, che hanno una piccola parte del mercato rispetto alle private. Le contro-sanzioni russe, per adesso, sono solo un avvertimento».
Luigi Grassia, La Stampa 24/9/2014