Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 24 Mercoledì calendario

SE L’ITALIA È VERDE SOLO A PAROLE

Non scaturiranno decisioni significative dal vertice sul clima dell’Onu, come non ne sono uscite dagli ultimi summit sullo stato della Terra, che non hanno praticamente sortito alcun effetto. Forse solo il protocollo sottoscritto a Kyoto nel 1997 ha avuto un qualche successo, segnando la fine della deregulation selvaggia, sensibilizzando un’opinione pubblica ancora incredula e facendo partire un’economia «verde» legata alla riconversione ecologica.
Kyoto non significava molto in termini di impatti: una riduzione solo del 6% delle emissioni clima-alteranti, quando tutti gli scienziati seri di questo mondo affermano che si dovrebbe partire con il 60 per arrivare almeno all’80%. Obiettivi che possono essere raggiunti solo con l’accordo internazionale e con le iniziative di governi, imprese e cittadini. Ammesso che si inizi ora, però, perché dopo rischia di non esserci più tempo: l’inerzia dell’atmosfera è tale che, se in questo preciso istante bloccassimo per incanto tutte le nostre emissioni clima alteranti (tutte in tutto il mondo), ci vorrebbe almeno altro mezzo secolo perché la temperatura torni a diminuire. Al di là del vertice, però, in quasi tutto il mondo, il cambiamento climatico occupa spesso le prime pagine dei giornali. Tranne che in Italia, dove si parla di clima solo se arriva una «bomba d’acqua» uccidendo e devastando. Perché?
Parte della risposta sta nell’ignoranza complessiva degli italiani nei temi ambientali e scientifici. Recentemente un sindaco di una cittadina vesuviana (il cui nome deriva dal fatto che bruciò tre volte in passato a causa del vulcano) ha richiesto la sanatoria di tremila abusi edilizi finora sospesi in un territorio dove non ci dovrebbe essere nemmeno una nuova costruzione, perché «lo Stato deve mettere in sicurezza le abitazioni». Stessa cosa che ripetono i sindaci dei comuni alluvionati, anche a causa del cambiamento climatico, che ha reso le piogge sempre più micidiali. Con il consenso dei cittadini che, non a caso, continuano a eleggerli. Come se fosse possibile mettere al sicuro le costruzioni dalle eruzioni e dalle esondazioni o dalle frane: semplicemente non si può, ma a loro fa comodo ignorarlo. E la stessa ignoranza vale per il clima: se quest’estate ha piovuto così tanto non avranno esagerato gli ambientalisti con la paura del caldo? E vagli a spiegare qual è la differenza fra clima e tempo e che non basta certo un’estate più fresca per impedire lo sciagurato aumento di temperatura dell’atmosfera e degli oceani in atto negli ultimi decenni. Come si possono mettere in atto azioni contro il cambiamento climatico, che comportano cambiamenti di abitudini, se la gente della penisola pensa che sia poco più di un’invenzione?
E’ un segnale positivo che il presidente del Consiglio ritenga vincolante l’accordo sul clima di Parigi, ma appaiono parole in contraddizione con l’azione di governo, che continua a favorire le fonti fossili, nonostante a giugno il 50% dell’energia elettrica italiana sia stata prodotta per via rinnovabile. Solo noi italiani non sembriamo aver compreso che crisi economica e crisi ambientale sono due facce della stessa medaglia, e che solo una colossale operazione di riconversione ecologica potrebbe far intravedere una luce in fondo al tunnel. Oggi il volume d’affari attorno alle tecnologie pulite per produrre energia è più che raddoppiato rispetto al 2008 (200 miliardi di euro). E la Cina vende, da sola, tecnologie di questo tipo per circa 60 miliardi di euro (le clean technologies cinesi rappresentano oggi l’1,7% del pil nazionale: in Europa solo lo 0,4).
Purtroppo gli imprenditori italiani non hanno il coraggio di investire nell’innovazione veramente utile e nella ricerca come basi di una seria green economy. E, blanditi dai politici nostrani, rimandano decisioni che sono già nei fatti. Noi arriviamo sempre ultimi, nonostante le nostre eccellenze scientifiche note nel mondo: però bravissimi, a parole, nel dipingerci «verdi» come non siamo.
Mario Tozzi, La Stampa 24/9/2014